204 Luigi Campieius complecionem tam corpus quam anima producatur: sic,inquam, si Deus velit, non potest mundum producere nisi illumproduxerit ex istis partibus ac accidentibus integratum, nedumad species sed ad in<strong>di</strong>vidua descendendo. 64Come è stato recentemente osservato, il ricorso all’argomento dellanecessità ipotetica risulta tanto più efficace allo scopo <strong>di</strong> conciliare leinfrustrabiles onniscienza e onnipotenza <strong>di</strong>vine con la libertà umana,quanto più esso si intreccia all’elaborazione <strong>di</strong> una dottrina del tempo<strong>di</strong>vino, boezianamente concepito come duracio, aeternitas, o tempussempiternus, tale che ogni evento è eternamente presente a Dio 65 . Lacertezza della conoscenza <strong>di</strong>vina non confligge, dunque, in alcunmodo con la contingenza dei suoi oggetti, quale che sia la scansionetemporale che un intelletto creato può attribuire loro, come Wyclifricorda a più riprese e con efficacia 66 . Una volta in patria, raggiuntocioè lo stato <strong>di</strong> beatitu<strong>di</strong>ne celeste, saranno restaurate nella loropienezza tutte le facoltà volute da Dio per l’uomo nel suo stato <strong>di</strong>iustitia originalis e si tornerà ad avere una clara visio <strong>di</strong> Dio, delleidee che ne costituiscono l’essenza, e <strong>di</strong> quanto viene a suo tempoall’esistenza nel mondo creato, cose che ora risultano confuse e per lopiù ignote all’intelletto umano 67 :Tanta ergo contingentia est in <strong>qui</strong>buscunque creaturispreteritis quanta in ali<strong>qui</strong>bus nunc futuris. Et tam certi suntbeati continue de futuris nobis ambiguis, cum vident ipsam inVerbo, quam certi sunt de <strong>qui</strong>buscunque preteritis, cum apudDeum, penes quem debent huiusmo<strong>di</strong> mensurari, sit tantacertitudo et contingencia utrobique. 68L’affermazione della prescienza <strong>di</strong>vina, cioè <strong>di</strong> una conoscenzacerta, stabile ed eternamente necessaria (benché ex supposicione) <strong>di</strong>tutti gli eventi futuri – cioè <strong>di</strong> tutte le creature che verrannoall’esistenza attuale e <strong>di</strong> tutti gli effetti da loro causati – e la tesi chel’or<strong>di</strong>ne del mondo scelto da Dio sia il migliore e l’unico a potersirealizzare richiamano all’attenzione del teologo e del filosofo ilproblema della presenza del male, e in particolare del malevolontariamente compiuto dalle creature razionali. Wyclif nei suoi
Un unico partito possibile? 205scritti giovanili si interroga ripetutamente sulla questione, conun’acribia e un impegno cui non è possibile rendere merito in questepagine; <strong>qui</strong> si tratteggerà una sorta <strong>di</strong> lista <strong>di</strong> argomenti, rimandandoad altri contributi della letteratura per gli opportuni approfon<strong>di</strong>menti.Circa la giustificazione della presenza del peccato all’interno delmigliore or<strong>di</strong>ne possibile, si pone il quesito se Dio possa auctorisarepeccatum, se ne sia il responsabile e se ne compiaccia: in tal caso,sorgerebbe il problema teologico <strong>di</strong> comprendere come un Creatoresommamente buono possa aver previsto nel suo <strong>di</strong>segno la presenzadel male e del peccato. Semplificando, si può <strong>di</strong>re che al riguardoWyclif ricorra principalmente a due argomenti. In primo luogo, sullascorta della riflessione agostiniana, afferma che il peccato non haconsistenza ontologica, ma è da intendersi piuttosto come mancanza<strong>di</strong> essere e, pertanto, Dio non ne possiede idea alcuna. Del peccato, inaltre parole, non c’è esse intelligibile, né a maggior ragione puòesservi esse existere: nel portare all’esistenza attuale le creature, ilvolere <strong>di</strong> Dio si estende agli oggetti della propria conoscenza, tra iquali non ha posto il male 69 . Dio, dunque, non può <strong>di</strong>rsi autore delpeccato.La seconda soluzione richiede <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere due accezioni inaccordo alle quali ci si può riferire al peccato: analogamente a quantodetto circa l’esse ydeale delle creature, Wyclif parla <strong>di</strong> un esseprimum del peccato, espressione con la quale in<strong>di</strong>ca la natura delpeccato – una natura privativa e <strong>di</strong>fettiva –, un modo per <strong>di</strong>re che ilpeccato è ciò che non è; inoltre, si può parlare <strong>di</strong> un esse secundumdel peccato, considerando il fatto che il male è compiuto da unacreatura – un ente positivo – e che pertanto tale azione può esserevolta al bene, riconducendola all’or<strong>di</strong>ne. Il proposito <strong>di</strong> Wyclif èinsomma, senza dubbio, quello <strong>di</strong> mostrare che ad<strong>di</strong>rittura il peccatopuò contribuire ad pulcrificandum mundum: un’azione peccaminosanella misura in cui è un’azione costituisce un effetto positivo, benchéessa sia primariamente un <strong>di</strong>fetto.Alla luce <strong>di</strong> ciò, è possibile asserire che Dio permette che unacreatura compia un peccato, senza perciò doverlo ritenereresponsabile, né tantomeno rimproverargli <strong>di</strong> necessitare la creatura acompierlo 70 ; al contrario, tale permesso è da comprendersi nel <strong>di</strong>segnoperfetto <strong>di</strong> Dio, che nella sua infinita bontà vuole che il peccato, una