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<strong>turrisbabel</strong> <strong>69</strong> März Marzo 2006 Paesaggi_Linguaggi – Statements 21<br />

Mappa di preposizioni:<br />

schema anti-tipologico per<br />

classificare i rapporti fra<br />

oggetti (a sinistra) e fra gli<br />

oggetti e il suolo (a<br />

destra), esplicitato per<br />

mezzo di preposizioni.<br />

Strategie di relazione<br />

Tuttavia, proprio perché si basa sulla<br />

struttura degli spazi aperti, la cultura di<br />

montagna – “dimensione” paesaggistica<br />

per eccellenza – non ha mai sentito la<br />

necessità di elaborare un’estetica del paesaggio.<br />

Tant’è che, cercando nel lessico<br />

delle lingue locali, è difficile trovare persino<br />

il termine “indigeno” per denominarlo<br />

esattamente. Non è una semplice questione<br />

lessicale ma una vera e propria visione<br />

del mondo. Ad esempio, nel caso del ladino<br />

dolomitico, il termine che più si avvicina<br />

al significato di “paesaggio” è contràda<br />

che può significare anche “via, strada<br />

cittadina”. L’interpretazione etimologica<br />

che ne dà il catalano J. Coromines è piuttosto<br />

interessante. La forma originaria<br />

non sarebbe contrata (da contra “ambito<br />

di fronte all’osservatore”) ma encontrata:<br />

“territorio nel quale ci incontriamo, nel<br />

quale ci troviamo tutti insieme”. L’idea che<br />

il paesaggio sia percepito psicologicamente<br />

non come un luogo da osservare ma<br />

come il luogo dove ci si incontra e dove<br />

si stabiliscono delle relazioni che rafforzano<br />

i legami sociali, è molto significativa.<br />

Anche l’ambivalenza del significato di “paesaggio”<br />

e “strada” è piuttosto interessante.<br />

Non solo indica l’idea che il concetto di<br />

paesaggio si può accostare a quello di<br />

“opera”, cioè di costruzione artificiale dall’uomo,<br />

ma si potrebbe addirittura ipotizzare<br />

che nell’immaginario montano non<br />

ci sia contraddizione fra strada e paesaggio<br />

quando si considerano anche nel loro<br />

valore funzionale, cioè come “(infra)strutture<br />

di relazione”.<br />

In montagna il paesaggio, al pari del linguaggio,<br />

è piuttosto una “strategia di relazione”<br />

fra uomo e spazio aperto. Nella lingua<br />

infatti, le forme che meglio esprimono<br />

le relazioni sono le preposizioni ed è davvero<br />

sorprendente il numero di preposizioni<br />

e avverbi di luogo della grammatica delle<br />

lingue montane (retoromanze ma anche alemanno-baiuvare)<br />

così come stupisce la ricchezza<br />

delle loro possibilità combinatorie.<br />

Allo stesso modo, meraviglia l’“appropriatezza”<br />

lessicale, cioè la notevolissima varietà<br />

terminologica che rende possibile classificare<br />

esattamente un vastissimo repertorio<br />

di “tipologie paesaggistiche” oltre che archi-<br />

tettoniche. Le lingue montane esprimono<br />

una grande raffinatezza percettiva e allo<br />

stesso tempo sono linguaggi “tecnici”, specifici<br />

per questo tipo di struttura spaziale<br />

del territorio. Allo stesso modo lo spazio,<br />

“destrutturato” attraverso l’analisi del linguaggio<br />

del luogo, rivela completamente<br />

la sua struttura frammentata, fessurata,<br />

interrotta, spiegazzata. Rivela un paesaggio<br />

che per essere vissuto necessita innanzitutto<br />

di relazioni. Per questo, la cultura<br />

montana non riconosce la sua identità<br />

nell’immagine dei luoghi ma nel tipo di<br />

relazioni con i luoghi. La sua originalità si<br />

basa nell’eredità di un rapporto simbiotico<br />

con lo spazio aperto ed è proprio per questo,<br />

che la cultura montana è portatrice<br />

di una concezione di paesaggio che non<br />

è (solo) di natura estetica.<br />

Questo spostamento dell’attenzione dalle<br />

forme alle relazioni è un punto davvero<br />

nodale nel caso della montagna turistica.<br />

La necessità di mettere in scena un’identità<br />

“organizzata” ha permeato a tal punto l’immaginario<br />

turistico e locale da diventare il<br />

problema principale della programmazione<br />

urbanistica non solo dei centri storici ma anche<br />

del territorio aperto. L’attenzione si concentra<br />

sull’elemento più evidente e come<br />

conseguenza – complice un certo pregiudizio<br />

culturale che vede il pittoresco ed il kitsch<br />

come un nemico da combattere all’ultimo<br />

sangue – le energie si disperdono nello stabilire<br />

le forme e le dimensioni consigliate<br />

per le verande e le aperture, il disegno dei<br />

balconi, la geometria dei tetti, l’articolazione<br />

dei volumi e così via. Ci si ferma all’immagine<br />

dei luoghi e, nel tentativo di preservarne<br />

una certa originalità, non si fa altro che<br />

perseguire la mistificazione del “falso autentico”,<br />

processo che peraltro continua comunque.<br />

Insomma: si sbaglia obiettivo.<br />

Considerare il sistema reale di reciprocità<br />

che lega lingua, spazio e insediamento aiuta<br />

invece a rivelare l’identità “naturale” dei luoghi,<br />

che è poco visibile proprio perché risiede<br />

nei rapporti e non nelle forme. In altre<br />

parole, è tenendo presenti i caratteri e<br />

le “limitazioni” del caso specifico che si può<br />

pensare una continuità culturale capace di<br />

strutturare veramente lo spazio. Oppure si<br />

può continuare a guardare il tema da fuori, e<br />

insistere nell’occuparsi di abbaini e fioriere.

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