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<strong>Riders</strong><br />
Magazine n.106<br />
Qui dall'alto verso<br />
il basso: Vinicio<br />
concentrato sulla<br />
griglia di partenza<br />
prima di una gara<br />
con la Scuderia<br />
Diemme. Nel 1975<br />
mentre indossa la<br />
tuta prestata da un<br />
amico che porta il<br />
suo stesso gruppo<br />
sanguigno.<br />
Insieme al canadese<br />
Michael Cannon,<br />
ingegnere della sua<br />
vettura nel 1990.<br />
pioveva, e la mia testa, percependo una situazione<br />
di allarme, si è messa in allerta. Ero focalizzato<br />
al 100 percento e sarei potuto arrivare<br />
secondo, ma poi è spuntato il sole, la pista<br />
si è asciugata e ho perso due posizioni». Ormai,<br />
nonostante tutto, Vinicio ha dimostrato a<br />
se stesso di poter stare con i migliori. E così<br />
l’anno successivo decide di assecondare i desideri<br />
del bambino che da piccolo, prima di<br />
fare le piroette in cielo, andava matto per un<br />
certo Mario Andretti, capace di vincere in Formula<br />
1, Indycar e Nascar. «Andava forte, rappresentava<br />
l’italiano che va negli Stati Uniti e<br />
raggiunge il successo. E poi faceva parte del<br />
colorato mondo americano, fatto di sponsor e<br />
colori, antitesi di quello italiano, dove le tute<br />
erano nere e seriose». Salmi si compra una<br />
Chevron B38 motorizzata Toyota ed esordisce<br />
da privato nella Formula 3 europea raccogliendo<br />
risultati incoraggianti: «Se guidi la<br />
moto passare alle auto è possibile, mentre il<br />
processo inverso è difficile. Le due ruote richiedono<br />
molto talento, mentre con le macchine<br />
puoi imparare. Nel primo caso il pilota<br />
può essere determinante al 60 percento e<br />
compensare con la guida alle carenze del<br />
mezzo, mentre nell’altro la percentuale si riduce<br />
al 10 percento, fatta eccezione per i<br />
campionissimi». Nel 1981 a Monaco la velocità<br />
con cui affrontava la chicane durante la prima<br />
sessione di prove cronometrate, dati alla<br />
mano, lo avrebbe piazzato al secondo posto in<br />
Formula 1: Patrick Tombay svoltava a 172<br />
km/h, Nelson Piquet a 169. Stesso rilievo per<br />
Salmi, che però correva in Formula 3. Un’altra<br />
categoria, inferiore e generalmente più lenta.<br />
Nonostante ciò il ferrarese si era messo dietro<br />
gente come Alain Prost e Gilles Villeneuve, rispettivamente<br />
al volante di Renault e Ferrari.<br />
Più corre, più sogna l’America. E così nella prima<br />
metà degli anni 80 Salmi fa il grande salto,<br />
trasferendosi prima a New York e poi a San<br />
Francisco. La vita dell’emigrato è in salita, e<br />
prima di rivederlo al volante occorre aspettare<br />
fino il 1987. Tre anni più tardi vince la gara di<br />
Vancouver nella serie Indy Lights con il<br />
team Genoa Racing ed è terzo nella tappa di<br />
Denver, nel 1992 a Elkhart Lake rimonta dalle<br />
retrovie ma viene penalizzato per aver superato<br />
la pace-car mentre entrava nella corsia<br />
box. «Sarei salito sul podio». Salmi apre la<br />
mano destra e mostra i sei calli che ne irruvidiscono<br />
il palmo: «Sono passati 24 anni e mi<br />
accompagnano ancora, quelle erano auto senza<br />
servosterzo, senza servofreno, senza bottoni,<br />
per cambiare marcia servivano i muscoli.<br />
L’Indy è roba da uomini veri, si guida con le<br />
braccia, con il piede e con il culo. Il sedere è<br />
la parte del corpo con cui senti come si<br />
comporta la vettura». Nel frattempo l’opportunità<br />
di centrare il bersaglio grosso ed entrare<br />
VINICIO SALMI HA GAREGGIATO<br />
PER SE STESSO E CONTRO<br />
TUTTI. HA RACCOLTO MENO<br />
DI QUANTO IL SUO TALENTO<br />
POTESSE CONSENTIRGLI.<br />
«CORREVO PER CURIOSITÀ,<br />
PER PASSIONE E PER NOIA,<br />
LO AMMETTO». ORA APRE<br />
LA MANO DESTRA E MOSTRA<br />
ANCORA I SEI CALLI PER<br />
LE AUTO SENZA SERVOSTERZO<br />
in Formula 1 si presenta più volte, ma senza concretizzarsi.<br />
Il ferrarese è entrato in un’élite in cui<br />
i quattrini a volte contano più del talento: non<br />
basta averne, bisogna averne tanti e spesso più<br />
di quanti se ne hanno a disposizione. Gli sponsor<br />
abbondano comunque e gli affari gli permettono<br />
uno stile di vita fatto di sfarzi: residenza a<br />
Montecarlo, aereo privato con pilota personale<br />
per gli spostamenti nel continente, frequenti<br />
tappe in mete come Honolulu, Las Vegas, Tokyo<br />
e Mexico City. Le ruote sono passate da due a<br />
quattro, ma i vizi sembrano rimasti gli stessi. Fra<br />
party e bollicine Salmi se la gode e si cimenta<br />
anche nella motonautica, partecipando a qualche<br />
gara di off-shore: «Ricordo in particolare la<br />
Viareggio - Bastia - Viareggio, ho piantato lo<br />
scafo a 180 all’ora e non è successo più niente,<br />
solo impatti con le onde, quasi mi addormento».<br />
Per lui le competizioni erano quasi un diversivo,<br />
correva «per curiosità, per passione e anche<br />
per noia, lo ammetto». L’Europa l’ha fatto<br />
pilota, gli Stati Uniti l’hanno trasformato in manager<br />
e businessman, concretizzando nei risultati<br />
un talento puro ma non sempre facile da<br />
gestire: «Andavo forte senza esserne pienamente<br />
cosciente, per me era normale». Un dato confermato<br />
dal patron della scuderia Diemme, Primo<br />
Melandri: «Era naturalmente dotato, come<br />
lui ne ho visti pochi, e io di campioni ne ho conosciuti<br />
parecchi». Salmi ha gareggiato per se<br />
stesso e contro tutti, nonostante l’incidente<br />
del 75 gli abbia restituito un piede sinistro mai<br />
tornato alla completa funzionalità. Ha raccolto<br />
meno di quanto si pensava agli esordi ma abbastanza<br />
per fare allargare il sorriso che lo accompagna<br />
in ogni aneddoto pre-1992, quando il prurito<br />
che sentiva nel piede destro ha lasciato<br />
spazio all’appagamento, alle riflessioni di un<br />
uomo diventato papà, alla consapevolezza di chi<br />
riconosce che il rischio, quando si gareggia, è<br />
dietro l’angolo. «Così ho smesso con le corse,<br />
d’emblée. Basta, stop, finita, addio». E la paura,<br />
ha contribuito? «No. Non l’ha fatto, mai».<br />
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