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acconti<br />
ars gratia artis<br />
il piacere della scrittura<br />
IL NUOVO ROMANZO DI<br />
IRENE MALFATTI<br />
Racconti di lettori, collaboratori e perfetti sconosciuti<br />
pubblicati per il puro piacere di condividerli con voi<br />
Il paese dei rumori<br />
di Fedra<br />
Nel paese dei rumori le persone erano amanti dei<br />
rumori più disparati: godevano dell’urlo delle<br />
sirene, si esaltavano al sentire le vibrazioni del<br />
tram e del treno, gioivano quando i vicini litigavano<br />
e imprecavano contro il governo ladro e il<br />
clima traditore.<br />
Loro passatempo preferito era appostarsi in auto<br />
la domenica mattina alle 8 o nei giorni di settimana<br />
verso la mezzanotte e aspettare che qualcuno<br />
venisse a soffiare loro il parcheggio dove erano<br />
soliti lasciare l’auto per poi sparire in uno dei<br />
mille edifici del quartiere senza lasciar traccia.<br />
Allora nell’aria per un’ora buona si espandeva<br />
un ininterrotto strombazzare di clacson.<br />
Oppure, sempre di domenica mattina, inequivocabilmente<br />
alle 8, decidevano di ristrutturare casa<br />
e accendevano allegramente il trapano elettrico o<br />
buttavano giù muri a suon di martello.<br />
Ma ciò che più di ogni altra cosa faceva felici<br />
gli abitanti del paese dei rumori era il sottofondo<br />
costante e ininterrotto del rombo dei motori:<br />
era quello che li cullava nelle notti insonni, li accompagnava<br />
nei loro peggiori incubi, fungeva da<br />
sveglia al mattino, era con loro quando andavano<br />
al lavoro, a far la spesa, in palestra, persino in<br />
vacanza.<br />
Una mattina all’alba, sulla quercia al centro del<br />
paese si posò un uccellino e come per annunciare<br />
qualcosa si mise a cantare.<br />
Fu subito scacciato a colpi di fucile, anche perché<br />
il suo canto in quel momento stava coprendo<br />
il rumore di una motocicletta che passava ogni<br />
mattina a quell’ora producendo un rombo gradevole<br />
a quelle orecchie delicate. L’uccellino riuscì<br />
a scappare ma lo schioppo riuscì a calmare gli<br />
animi già infastiditi da quel nuovo rumore.<br />
Dopo un po’, però, come per l’aria si sparse<br />
qualcosa che nessuno aveva mai udito prima,<br />
fragoroso, rombante, ma anche dolce e allegro,<br />
che aveva un ritmo, ora lento ora sempre più veloce,<br />
in certi momenti invitava quasi a muovere<br />
il corpo.<br />
Di lì a poco una moltitudine di persone si riversò<br />
per le strade, vestite alla maniera più disparata,<br />
con giacche rosse, pantaloni lunghi e tube, semplici<br />
t-shirt a righe e cappelli da marinaio, a torso<br />
nudo e pantaloncini corti.<br />
In mano tenevano grossi oggetti di materiali<br />
diversi, ottone, legno, dorati, alcuni a forma di<br />
tubo bucherellato, dritto o ripiegato su se stesso,<br />
che si aprivano a un’estremità in una sorta di<br />
coppa. Dall’altra estremità una piccola apertura<br />
permetteva di soffiare all’interno del tubo, e il<br />
soffio usciva trasformato in quegli strani versi.<br />
Altri oggetti erano cilindrici e coperti da un panno<br />
su cui si picchiettava con le mani.<br />
La gente uscì dalle case incuriosita. A qualcuno<br />
quei rumori ricordavano ritmi lontani, roba dei<br />
loro genitori o dei loro nonni. Ma la maggior parte<br />
di loro era troppo giovane per ricordare quella<br />
che dagli storiografi era stata chiamata l’era della<br />
musica.<br />
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60<br />
ANNO II • NUMERO III • marzo-aprile 2019