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Jolly Roger_02_03

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acconti<br />

ars gratia artis<br />

il piacere della scrittura<br />

IL NUOVO ROMANZO DI<br />

IRENE MALFATTI<br />

Racconti di lettori, collaboratori e perfetti sconosciuti<br />

pubblicati per il puro piacere di condividerli con voi<br />

Il paese dei rumori<br />

di Fedra<br />

Nel paese dei rumori le persone erano amanti dei<br />

rumori più disparati: godevano dell’urlo delle<br />

sirene, si esaltavano al sentire le vibrazioni del<br />

tram e del treno, gioivano quando i vicini litigavano<br />

e imprecavano contro il governo ladro e il<br />

clima traditore.<br />

Loro passatempo preferito era appostarsi in auto<br />

la domenica mattina alle 8 o nei giorni di settimana<br />

verso la mezzanotte e aspettare che qualcuno<br />

venisse a soffiare loro il parcheggio dove erano<br />

soliti lasciare l’auto per poi sparire in uno dei<br />

mille edifici del quartiere senza lasciar traccia.<br />

Allora nell’aria per un’ora buona si espandeva<br />

un ininterrotto strombazzare di clacson.<br />

Oppure, sempre di domenica mattina, inequivocabilmente<br />

alle 8, decidevano di ristrutturare casa<br />

e accendevano allegramente il trapano elettrico o<br />

buttavano giù muri a suon di martello.<br />

Ma ciò che più di ogni altra cosa faceva felici<br />

gli abitanti del paese dei rumori era il sottofondo<br />

costante e ininterrotto del rombo dei motori:<br />

era quello che li cullava nelle notti insonni, li accompagnava<br />

nei loro peggiori incubi, fungeva da<br />

sveglia al mattino, era con loro quando andavano<br />

al lavoro, a far la spesa, in palestra, persino in<br />

vacanza.<br />

Una mattina all’alba, sulla quercia al centro del<br />

paese si posò un uccellino e come per annunciare<br />

qualcosa si mise a cantare.<br />

Fu subito scacciato a colpi di fucile, anche perché<br />

il suo canto in quel momento stava coprendo<br />

il rumore di una motocicletta che passava ogni<br />

mattina a quell’ora producendo un rombo gradevole<br />

a quelle orecchie delicate. L’uccellino riuscì<br />

a scappare ma lo schioppo riuscì a calmare gli<br />

animi già infastiditi da quel nuovo rumore.<br />

Dopo un po’, però, come per l’aria si sparse<br />

qualcosa che nessuno aveva mai udito prima,<br />

fragoroso, rombante, ma anche dolce e allegro,<br />

che aveva un ritmo, ora lento ora sempre più veloce,<br />

in certi momenti invitava quasi a muovere<br />

il corpo.<br />

Di lì a poco una moltitudine di persone si riversò<br />

per le strade, vestite alla maniera più disparata,<br />

con giacche rosse, pantaloni lunghi e tube, semplici<br />

t-shirt a righe e cappelli da marinaio, a torso<br />

nudo e pantaloncini corti.<br />

In mano tenevano grossi oggetti di materiali<br />

diversi, ottone, legno, dorati, alcuni a forma di<br />

tubo bucherellato, dritto o ripiegato su se stesso,<br />

che si aprivano a un’estremità in una sorta di<br />

coppa. Dall’altra estremità una piccola apertura<br />

permetteva di soffiare all’interno del tubo, e il<br />

soffio usciva trasformato in quegli strani versi.<br />

Altri oggetti erano cilindrici e coperti da un panno<br />

su cui si picchiettava con le mani.<br />

La gente uscì dalle case incuriosita. A qualcuno<br />

quei rumori ricordavano ritmi lontani, roba dei<br />

loro genitori o dei loro nonni. Ma la maggior parte<br />

di loro era troppo giovane per ricordare quella<br />

che dagli storiografi era stata chiamata l’era della<br />

musica.<br />

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60<br />

ANNO II • NUMERO III • marzo-aprile 2019

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