4 Domenica 27 maggio 2007
EDITORIALE 5 Fecondo è il principio di non appagamento e preziosa <strong>la</strong> sete di giustizia ma <strong>la</strong> soluzione terroristica è il modo più sicuro per paralizzare l’uno e l’altra Emilio Rossi con Giovanni Paolo II e in basso con Indro Montanelli. Entrambi gambizzati dalle Br trent’anni fa Terrorismo: assoluto disprezzo per le alternative e desiderio di morte e megalomania Contrassegno di un’epoca Guardando al passato occorrono normalità non statica ma paziente, continuità non indulgente, cambiamento nel profondo EMILIO ROSSI Da ragazzo sentivo par<strong>la</strong>re, al più, <strong>del</strong> terrorismo <strong>del</strong>l'Ottocento russo e/o genericamente anarchico, come di deviazione rara. Non avevo letto Malraux. Mai avrei immaginato di dover un giorno e a lungo convivere, persino rimanendovi coinvolto personalmente, con un terrorismo assunto, su varia sca<strong>la</strong>, a contrassegno di un'epoca. Cercar di capire perché ciò sia potuto accadere porta lontano, porta in profondità nei meandri e negli abissi <strong>del</strong><strong>la</strong> preistoria. Non é un caso che Glucksmann, all’indomani <strong>del</strong>l'11 settembre, si sia richiamato a Dostoevskij. Non è un caso che più recentemente Enzensberger si sia rifatto al<strong>la</strong> biografia tragicamente simbolica <strong>del</strong> “perdente Radicale”, per denunciare nel terrorismo “un amalgama di desiderio di morte e di megalomania”. Come a dire che terreno di incubazione <strong>del</strong> terrorismo è <strong>la</strong> disperazione, generata dall'impotenza e spinta a sbloccarsi nell'ebbrezza <strong>del</strong><strong>la</strong> distruttività e persino <strong>del</strong><strong>la</strong> auto distruttività. Chissà se le cose stanno proprio così e solo così. Anche perché c'è terrorismo e terrorismo, con note in parte comuni o per lo meno affini, in parte diverse e radicalmente diverse. Basti pensare da un <strong>la</strong>to (estremismo is<strong>la</strong>mista) al terrorismo a sfondo religioso, orientato sul miraggio di una corposa ricompensa ultraterrena e preceduto da un ammirato consenso comunitario per il martire: remunerazione quest'ultima che può essere presente anche in certe forme di terrorismo di minoranza (basco o ir<strong>la</strong>ndese, ad esempio). Dall'altro <strong>la</strong>to, invece, l’attenzione va al terrorismo che Alberto Ronchey definisce endogeno, al terrorismo occidentale anti sistema, marcatamente ideologico, esercizio di violenza in funzione di un’utopia rivoluzionaria assunta ad assoluto (è il caso <strong>del</strong><strong>la</strong> R.A.F. tedesca e <strong>del</strong>le Brigate Rosse in Italia). Da situazioni di partenza e di prospettiva assolutamente differenti, emerge l'evidenza di tratti comuni: una insostenibilità reale, o presunta, <strong>del</strong>l'esistente, una cultura <strong>del</strong>l'impazienza e <strong>del</strong><strong>la</strong> radicalità, <strong>la</strong> presunzione di un progetto da perseguire quale che ne sia il prezzo, anche a carico di innocenti, un invincibile disprezzo per le alternative, per valori altri, per <strong>la</strong> pietà quasi fosse tradimento, infine una sorta di ascesi ob<strong>la</strong>tiva come giustificazione e persino motivazione nobilitante, per intanto rimunerata col conseguimento oggi si direbbe di una <strong>del</strong>irante "second life", di un gioco di ruolo nel caso disumano e tutt’altro che virtuale. Tutto questo o qualcosa <strong>del</strong> genere può in effetti apparentare fenomeni diversi, addirittura antagonistici, come quelli su un versante alimentati dall’integralismo religioso o su tutt'altro versante da inquadrare in una immaturità di ritorno, in un tendenziale nichilismo. Si direbbe: ma<strong>la</strong>ttia <strong>del</strong>l'infanzia o ma<strong>la</strong>ttia <strong>del</strong><strong>la</strong> senescenza. Qualche indicazione ne viene anche per dare una fisionomia - più azzardata sarebbe una prognosi - <strong>del</strong> terrorismo nostrano. Che oggettivamente rive<strong>la</strong> una sua esasperata artificiosità e gratuità, un suo provincialismo insieme acerbo e decadente, come di esercitazione fuori luogo e fuori stagione, priva di efficacia strategica fosse pure semplicemente simbolica. Non perché l'Italia sia una democrazia ideale, terra di libertà sempre responsabile, luogo di legalità, di povertà sconfitte, di carichi equamente distribuiti, di correttezza comunicativa, di condivisione In Italia, egoismi settoriali, rissosità endemica, voglia di sottrarsi al<strong>la</strong> fatica e al sacrificio continuano ad essere ma<strong>la</strong>nni che richiedono cure opposte a nuove avventure, a violenze e a devastazioni di coscienze pronta al<strong>la</strong> faticosa opera comune, al<strong>la</strong> ricerca <strong>del</strong> bene comune e <strong>del</strong>l'amicizia civica. Ma perché, al contrario, le cose che non vanno, gli egoismi settoriali, <strong>la</strong> rissosità endemica, il furbesco arrangiarsi al<strong>la</strong> giornata, <strong>la</strong> voglia di sottrarsi al<strong>la</strong> fatica e al sacrificio, <strong>la</strong> stessa micro o macro criminalità, proprio perché hanno radici antiche cui si sono aggiunte via nuove negligenze, sono ma<strong>la</strong>nni che richiedono cure opposte a nuove avventure, a nuove faziosità e violenze e devastazioni di coscienze e di convivenze. Gli appelli al<strong>la</strong> nazionalità e alle regole comuni non sono prediche di anime belle o, peggio, espedienti di comodo. Appartengono a una terapia salva vita. Non di assalti traumatici, non di azzardi disperati abbiamo bisogno. Al contrario di normalità paziente ma non statica, di continuità non indulgente, di cambiamento nel profondo e nel<strong>la</strong> continuità. Dobbiamo, col tempo che ci vorrà, diventare un paese serio. Fecondo è il principio di non appagamento, preziosa è <strong>la</strong> sete di giustizia ma <strong>la</strong> violenza terroristica è il modo più sicuro per paralizzare l’uno e l’altra, anzi per ribaltarli. Con <strong>la</strong> violenza terroristica non si fanno passi in avanti, si rischia di farne rovinosamente all’indietro. L'Italia ha non uno ma più passati gloriosi al suo attivo. Ed é, <strong>la</strong> sua, una dotazione forse unica. Ha però anche pesanti tare e con i precedenti che ci troviamo alle spalle, nel<strong>la</strong> rischiosa imprevedibilità che, più che mai in passato, contraddistingue il panorama mondiale, non possiamo permetterci distrazioni, tanto meno <strong>la</strong> pratica di sport estremi. Esplorando giorno dopo giorno l’aerofotografia <strong>del</strong> nostro tessuto nazionale, dobbiamo prendere sul serio ogni segnale appena rilevabile di malessere strisciante e di possibile degenerazione patologica. E segnali purtroppo ci sono in varie sedi. La ragione farebbe prevedere che nuovi f<strong>la</strong>gelli terroristici non si sviluppino, trovando anticorpi più che in passato. Ma <strong>la</strong> prudenza in questo campo e con i nostri trascorsi non é mai eccessiva. E prudenza vuol dire, ad esempio, vigi<strong>la</strong>nza verso ogni cattivo maestro. Vuol dire anche impegno - per ciascuno nel proprio ruolo - a far migliore il Paese, correggere quelle trasandatezze, quelle smagliature di regole a vantaggio <strong>del</strong> proprio “particu<strong>la</strong>re”, quelle iniquità anche omissive che <strong>del</strong>l'eversione terroristica mai saranno giustificazione, ma oggettive condizioni di colposo favoreggiamento.