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Tingitanus Zoubeir ben Bouchta Asma Gherib

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l’ordine numerico spinto da esigenze letterarie e teatrali<br />

collegate al contenuto dell’opera.<br />

Mentre in Omero Ercole è raffigurato con tutte le armi tipiche<br />

di un guerriero miceneo, in <strong>Tingitanus</strong> la figura di Ercole<br />

è spesso legata alla pelle del Leone Nemeo.<br />

Nell’opera di Pindaro 17 egli è presentato come un docile ma<br />

incisivo strumento della volontà di Dio, Z. Ben <strong>Bouchta</strong><br />

invece lo presenta come un personaggio irruento e violento,<br />

un uomo prepotente che con la sua forza fisica vuole<br />

mettere mano su ciò che non è suo. Da questo punto di<br />

vista l’autore di <strong>Tingitanus</strong> si avvicina molto alla<br />

17 (Cinoscefale, 518 a.C. circa – Argo, 438 a.C. circa), poeta greco antico, sicuramente tra<br />

i maggiori esponenti della lirica corale. Nel 498 a.C. il genio precoce di Pindaro diede buona<br />

prova di sé, cantando nella Pitica X, il più antico epinicio giunto fino a noi, la vittoria del<br />

tessalo Ippocle, conquistata a Delfi nella corsa dei ragazzi. Celebrando la gloria del<br />

giovanissimo discendente della nobile stirpe degli Alevadi, Pindaro iniziava la sua illustre<br />

carriera di poeta aristocratico, cantore dei trionfi agonari degli atleti e degli epigoni delle più<br />

antiche famiglie. Pindaro si sentiva attratto dall’ideale di vita eroico, oramai remoto ed in<br />

contrasto col regime democratico greco. Il concetto dell’aristocrazia di razza dominava<br />

ancora il suo cuore e lo spingeva a distaccarsi dalla realtà storica in cui viveva, per<br />

ricongiungersi alla dimensione senza tempo del mito. In essa, il poeta ritrovava gli archetipi<br />

divini o semidivini che accendevano la sua fantasia e che egli credeva di veder rivivere nelle<br />

figure degli atleti vincitori delle gare olimpiche, sospendendo temporaneamente i contrasti<br />

esterni. Fra gli illustri committenti di Pindaro ricordiamo Ierone di Siracusa, per il quale<br />

compose l’Olimpica e la Pitica I (476-470). Ma l’amicizia non durò, sia per il carattere<br />

orgoglioso del tiranno, sia per la simpatia che questi accordò a Simonide e Bacchilide di Ceo.<br />

Nel 468 Pindaro lasciò la Sicilia, ma nonostante la partenza non gli vennero a mancare né<br />

celebri protettori né l’ammirazione del pubblico. Nel corso dei suoi numerosi viaggi ad<br />

Egina, Rodi, Corinto e Ceo, onorò Telesicrate e Arcesilao, signori di fiorenti colonie.<br />

Dopo il 460 la produzione di Pindaro si fece meno intensa e la sua creatività poetica assunse<br />

un diffuso pessimismo: il mondo ellenico era profondamente mutato e la democrazia ateniese<br />

aveva assunto definitivamente la funzione di polo politico dell’Ellade, Tebe era stata<br />

sottomessa ed il santuario di Delfi era dominato dai Focesi. Non poteva cosi sottrarsi ad una<br />

visione sempre più triste e delusa dell’esistenza: la forza creatrice della fantasia era ormai<br />

solo un ideale.<br />

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