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Cardiologia negli Ospedali n° 160 Novembre/Dicembre 2007 - Anmco

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VIAGGIO INTORNO AL CUORE<br />

Umanesimo e Medicina<br />

di Alessandro Ferrini<br />

Tra i primi libri a stampa, i così<br />

detti incunaboli, che videro la<br />

luce nell’ultimo scorcio del<br />

Quattrocento, un posto di primo piano<br />

spetta ai libri di medicina. A tale<br />

fioritura contribuì principalmente<br />

Venezia, con le sue numerose botteghe<br />

di stampa, cui la vicina Padova,<br />

con Bologna, già sedi di prestigiose<br />

università, fornivano sia la manodopera<br />

intellettuale per permettere la<br />

produzione di libri ben tradotti e ben<br />

commentati, sia un pubblico di consumatori.<br />

Così videro la luce, tra gli<br />

altri, gli Aforismi di Ippocrate, l’Ars<br />

parva di Galeno, il Liber almansoris<br />

di Rhazes, il Canone di Avicenna, il<br />

Flos medicinae della scuola salernitana.<br />

Il fiorire di tale letteratura si collega<br />

direttamente alla nuova idea di<br />

sapere e di cultura che gli umanisti<br />

diffusero in tutta Europa. Il nuovo<br />

metodo filologico fu applicato non<br />

solo in campo letterario ma anche<br />

nella produzione scritta di argomento<br />

medico; ciò permise la conoscenza<br />

diretta dei codici nella loro forma<br />

originale, mentre fino ad allora<br />

erano letti in traduzioni latine spesso<br />

inesatte, generalmente ottenute da<br />

versioni arabe o greche in circolazione<br />

durante il medioevo; la produzione<br />

libraria sempre più ricca, grazie alla<br />

crescita delle stamperie, aumentò<br />

enormemente la diffusione di questi<br />

nuovi testi.<br />

La prima opera in assoluto di argomento<br />

medico ad essere data alle<br />

stampe in Italia fu il De medicina di<br />

Aulo Cornelio Celso, edito a Firenze<br />

nel 1478 per i tipi dei Giunta; addirittura<br />

precedette di dodici anni la<br />

prima edizione delle opere di Galeno<br />

(Venezia 1490). Nell’inventario dei<br />

libri di medicina, stilato nel 1503, custoditi<br />

nella Biblioteca dell’Ospedale<br />

Maggiore di Milano (fondato dagli<br />

Sforza cinquant’anni prima), insieme<br />

ai testi di Ippocrate, Aristotele, Averroè,<br />

faceva bella mostra di sé il De<br />

medicina, in compagnia delle opere<br />

di Plinio e Galeno, a testimoniare<br />

la fama che questo autore riscosse<br />

durante il periodo rinascimentale.<br />

Celso visse ai tempi dell’imperatore<br />

Tiberio, nei primi decenni dell’era<br />

cristiana; della sua vasta opera, il<br />

De artibus comprendente agricoltura,<br />

arte militare, giurisprudenza,<br />

retorica, filosofia, è pervenuto fino a<br />

noi solo il trattato sulla medicina (in<br />

otto libri), forse proprio per l’interesse<br />

che questo scritto suscitò fra gli<br />

umanisti: sicuramente il posto tanto<br />

prestigioso che l’autore latino occupò<br />

in quel periodo si deve alla modernità<br />

di certe sue affermazioni.<br />

All’epoca di Celso esistevano a Roma<br />

due scuole di pensiero circa il modo<br />

di interpretare la medicina, quella<br />

dogmatica e quella empirica. La<br />

prima, che aveva avuto come massimi<br />

rappresentanti gli alessandrini<br />

Erofilo ed Erasistrato, sosteneva la<br />

tesi che il medico doveva conoscere<br />

le cause nascoste della malattia,<br />

guardava con sospetto ai rimedi<br />

empirici, si ispirava alle dottrine di<br />

Ippocrate, non disdegnava di ricorrere<br />

alla dissezione dei cadaveri e alla<br />

vivisezione dell’uomo (ricordiamo che<br />

era possibile compiere esperimenti<br />

su corpi di criminali condannati a<br />

morte). La seconda invece rifiutava di<br />

ricercare le cause nascoste delle malattie,<br />

convinta che fosse impossibile<br />

capire la natura umana, si limitava<br />

a considerare le “cause evidenti”,<br />

trascurava le nozioni di carattere<br />

anatomico, fisiologico o patologico,<br />

non si affidava alle norme teoriche<br />

ma esclusivamente all’esperienza.<br />

Celso si ripropose di conciliare le due<br />

tesi contrapposte, affermando che<br />

la medicina deve fondarsi su principi<br />

razionali, ma anche che il medico<br />

non deve ignorare le “cause evidenti”<br />

delle malattie. Senza partire da posizioni<br />

preconcette egli agì in maniera<br />

eclettica, accogliendo ciò che gli<br />

sembrava più giusto, rielaborando<br />

le teorie giunte fino a lui, cercando<br />

di cogliere gli aspetti più convincenti<br />

di ciascuna e riproponendoli in una<br />

personalissima versione, senza disdegnare<br />

neppure le pratiche popolari,<br />

purché basate sul buon senso.<br />

Non scrisse aforismi ma strutturate<br />

dissertazioni che esploravano vari<br />

campi della medicina con scrupolosa<br />

attenzione alla realtà dei fenomeni<br />

e alla specificità della malattia;<br />

atteggiamenti moderni che destarono<br />

l’ammirazione anche degli studiosi<br />

del Quattrocento.<br />

Ut “alimenta sanis corporibus<br />

agricoltura, sic sanitatem aegris<br />

Medicina promittit”, scrive nella<br />

prefazione alla sua opera e, in un<br />

capitolo successivo, a testimoniare la<br />

centralità dell’uomo nella sua visione<br />

deontologica:<br />

«L’uomo sano, che sta bene di salute,<br />

che sa quel che fa, non deve legarsi<br />

a nessuna regola rigorosa, non deve<br />

sentirsi bisognoso di medici e di<br />

massaggiatori. Deve piuttosto condurre<br />

una vita varia, soggiornare un<br />

po’ in campagna un po’ in città, più<br />

spesso però in campagna; far viaggi<br />

per mare, andare a caccia, riposare<br />

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