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capitolo 4.pdf - Confindustria

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Esaminando la correlazione tra la variazione della quota di occupazione<br />

indipendente e la crescita del Pil reale in 23 paesi Ocse (tra cui l’Italia)<br />

nel periodo 1966-96, Blanchflower 6 trova che aumenti di tale quota<br />

sono correlati a minori e non a più alti tassi di crescita del Pil. Questo risultato<br />

non esclude la possibilità che la relazione causale possa in realtà<br />

essere dalla crescita al tasso di occupazione autonoma. In altri termini, potrebbero<br />

essere le minori potenzialità di crescita (spiegate da altri fattori)<br />

a determinare la diminuzione relativa dell’occupazione dipendente e quindi<br />

la crescita dell’occupazione autonoma.<br />

L’esistenza di una correlazione negativa tra aumento dell’occupazione<br />

indipendente e crescita va quindi considerata come assolutamente preliminare,<br />

ma sottolinea un aspetto spesso trascurato. Il particolare sviluppo dell’occupazione<br />

indipendente in alcuni paesi può essere stato certamente una<br />

risposta obbligata a regolamentazioni distorsive e inefficienti; non è detto<br />

però che una risposta di questo tipo rimanga ottimale anche nel futuro.<br />

4.6 Dimensioni di impresa e flessibilità produttiva<br />

Gli anni Settanta hanno costituito, per l’Italia, uno spartiacque tra una<br />

fase dello sviluppo industriale in cui l’occupazione tendeva a concentrarsi<br />

nelle imprese di grande dimensione a una in cui il fenomeno si è invertito,<br />

ed è tornata a crescere la quota dell’occupazione nelle unità produttive<br />

minori. Con accentuazioni diverse, il fenomeno è comune anche ad altri paesi<br />

industriali, ma è stato particolarmente pronunciato in Italia 1 .<br />

I mutamenti che interessano le quote di occupazione sono documentati<br />

con riferimento a quattro grandi paesi industriali nelle figure 4-12 e 4-<br />

13. Da esse si ricava che il ridimensionamento che interessa la quota dell’occupazione<br />

delle grandi imprese dopo la metà degli anni Settanta presenta<br />

la massima intensità in Italia, il paese in cui il peso delle imprese<br />

di grande dimensione è minimo fin dall’inizio del periodo di riferimento. In<br />

Italia, infatti, la quota dell’occupazione concentrata nelle unità con più di<br />

500 addetti nell’arco dei venticinque anni considerati si dimezza. Una tendenza<br />

analoga, ma meno intensa si registra per la Francia e, in misura ancor<br />

meno accentuata, negli Stati Uniti. Il fenomeno appare sostanzialmente<br />

inesistente in Germania 2 . In tutti questi paesi, la quota di occupazione<br />

nelle grandi imprese era e rimane molto più alta che in Italia.<br />

Al di sotto della soglia dei 100 addetti il fenomeno presenta un profilo<br />

speculare a quello osservato al di sopra dei 500. In Italia si registra un<br />

notevole aumento (da poco meno del 50 a quasi il 70%) della quota di occupazione<br />

nelle imprese manifatturiere con meno di 100 addetti. Un incremento<br />

di tale quota si rileva anche in Francia; in Germania e Stati Uniti<br />

le variazioni appaiono invece di scarsa importanza.<br />

I cambiamenti che interessano le quote di occupazione non danno però<br />

informazioni in merito all’aumento o alla diminuzione del numero degli ad-<br />

6<br />

Cfr. Blanchflower, op. cit.<br />

1<br />

Su questo punto, e in merito all'evidenza discussa di seguito, cfr. F. Traù (a cura di),<br />

La questione dimensionale nell’industria italiana, Bologna, Il Mulino 1999.<br />

2<br />

Per la Germania — a causa della disomogeneità degli universi di rilevazione tra le diverse<br />

date per quanto riguarda le attività artigiane — vengono riportati per il 1977 due calcoli<br />

distinti, riferiti sia all’universo inclusivo degli artigiani sia a quello che li esclude.<br />

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