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esclusivo L’importanza Alberto Bichi è segretario generale della Federation of the European Sporting Goods Industry (FESI) dal 2000 di pensare globale Il sistema distributivo italiano e l’Europa secondo il SEGRETARIO GENERALE DELLA FEDERATION OF THE EUROPEAN SPORTING GOODS INDUSTRY (FESI) Intervista di Rosarita Cuccoli A dirigere la federazione europea del nostro settore è un italiano, Alberto Bichi, che è segretario generale della Federation of the European Sporting Goods Industry (FESI) dal 2000, quando fu eletto per quel ruolo all’unanimità. Bichi conosce bene i meccanismi di Bruxelles. Ha lavorato per la Foreign Trade Association (FTA), della quale è anche divenuto consigliere. Proprio quando era alla FTA gli venne chiesto di occuparsi della Federation of the European Sporting Goods Industry (FESI) e di svilupparla: nel 1996 prende la direzione dei Member Services di FESI, cruciali nell’ambito di una federazione, e soltanto quattro anni dopo diventa segretario generale dell’organizzazione. In questi 13 anni sotto la sua direzione, FESI ha continuato a crescere come l’organismo riconosciuto per esprimere con voce unitaria gli interessi dell’industria degli articoli sportivi. Nel 2008, Bichi è inoltre stato nominato direttore esecutivo della European Platform for Sports and Innovation (EPSI). Dal giugno 2012 è anche direttore degli affari governativi di HDS-L, l’associazione che rappresenta l’industria delle calzature e della pelletteria in Germania. Bichi ha concesso a TopSport questa intervista, dalla sede di FESI a Bruxelles. Chi sono i membri di FESI? Soltanto le federazioni nazionali o anche le aziende? E i retailer, che posizione hanno? I membri sono fondamentalmente tre tipi di soggetti. Abbiamo le federazioni nazionali, in rappresentanza di 10 Paesi membri. Ci sono poi i membri diretti, cioè le aziende del settore. E infine i membri ‘speciali’, o sectorial groups, quali ad esempio l’European Outdoor Group. Mi chiedeva dei retailer, che sono un tema attualmente in discussione. Come tipologia di adesione, i nostri membri possono essere membri regolari o associati. Per il momento i retailer possono aderire come membri associati, e quindi partecipare soltanto ad alcune delle nostre commissioni, ma stiamo riflettendo sull’opportunità di estendere anche ai retailer la membership piena. Qual è stato il percorso che l’ha condotta a ricoprire il suo ruolo attuale in FESI? Un percorso decisamente europeo. Sono nato in Italia ma l’ho lasciata all’età di 11 anni. Ho vissuto otto anni in Olanda, cinque in Francia e uno nel Regno Unito. Completati i miei studi in Economia e commercio, sono approdato a Bruxelles per uno stage alla Commissione Europea, dopo il quale ho iniziato a lavorare per una delle tante lobby che hanno sede a Bruxelles, che rappresentava gli interessi di grandi retailer internazionali. Quali sono, a suo parere, le specificità del sistema distributivo italiano? Lo reputa diverso da altri sistemi in Europa, ad esempio nel rapporto tra distribuzione indipendente e organizzata? Il sistema italiano è decisamente diverso da quello di molti altri stati europei. Innanzitutto è molto più frammentato. Rispetto a casi come quello francese o anche tedesco, il numero di negozi medio-piccoli in Italia è molto maggiore. 28 www.topsport.it
La distribuzione in Italia è, per l’appunto, comparativamente poco organizzata, poco aggregata. Questo da un lato consente ancora un approccio diverso con il consumatore, un rapporto e un feedback più diretti. Il lato negativo è, però, che si fanno poche economie di scala. Anche dal punto di vista delle organizzazioni di settore, in Italia, dove pure esistono – penso ad esempio all’ADAS – non sono sufficientemente attive e visibili per avere l’impatto che potrebbero avere. Parlare di made in Italy ha ancora senso? Lo spezzettamento delle fasi produttive è tale, con la globalizzazione, che fare della provenienza di un prodotto un valore aggiunto diventa molto difficile. Sarebbe più opportuno puntare sul branding che sulla provenienza. Come vede le prospettive per il mercato italiano, considerando la crisi che ha colpito in modo particolare il nostro Paese? Credo che l’Italia dovrebbe puntare su due aspetti chiave: 1) l’eccellenza, cioè i prodotti di nicchia, che possono essere qualcosa di esclusivo; e 2) l’internazionalizzazione, l’export. Se si cerca di salvarsi, o addirittura di emergere, senza spingersi al di là dei confini nazionali, l’operazione diventa molto difficile. Si parla molto, in Italia ma non solo, del peso dell’Europa su quanto accade nelle rispettive economie nazionali. La domanda è politicamente scorretta: come vede l’Europa per il nostro settore, e in particolare per l’Italia? Come un ostacolo, in qualche modo? Come un’opportunità che però richiede una serie di aggiustamenti? Lei da Bruxelles, e per il suo ruolo, ha un osservatorio privilegiato. Evidentemente la vedo ancora come una grande opportunità, e mi sembra che l’Italia in particolar modo sia poco consapevole delle opportunità che offre l’Europa. Se non ci si rafforza come Europa, prima o poi finiremo annientati da colossi emergenti come la Cina o l’India. Il sistema italiano è decisamente diverso da quello di molti altri stati europei e troppo frammentato. Rispetto a casi come quello francese o anche tedesco, la distribuzione è poco organizzata, poco aggregata. Questo da un lato consente ancora un approccio diverso con il consumatore, più diretto. Il lato negativo è, però, che si fanno poche economie di scala Per chi lavora sul campo, il concetto di “associazione” spesso appare come qualcosa di teorico, di troppo istituzionale, di cui fondamentalmente non si vedono i vantaggi. Come risponde a questo tipo di atteggiamento? Confermo assolutamente che questo tipo di approccio c’è, e che c’è in modo particolare in Italia. Gli italiani reagiscono decisamente peggio della media dei loro colleghi europei all’idea di operare come gruppo, e tendono piuttosto a cercare sempre soluzioni individuali, o speciali, credendosi sempre un po’ più furbi degli altri. Gli italiani tendono a non fare sistema, e questo li limita molto. Capisce che quando ci si presenta, ad esempio, come FESI, rappresentando 1800 aziende, si ha un peso diverso. Quali sono i principali obiettivi strategici di FESI, attualmente e per il prossimo futuro? FESI ha una serie di obiettivi strategici regolari, che attua attraverso 10 commissioni. Tali commissioni rispecchiano i settori in cui la legislazione europea può avere un impatto sul nostro settore. Anche il calendario dei lavori di queste nostre commissioni è modulato sulle attività della Commissione Europea. Per fare un esempio pratico, se si sta discutendo a livello europeo un tipo di legislazione che avrà direttamente un’influenza sul nostro settore, e può trattarsi anche di disposizioni di carattere puramente amministrativo, che però spesso hanno un forte impatto, cerchiamo di agire per tempo in modo da influenzare questo processo. Da due anni a questa parte abbiamo inoltre creato due nuove commissioni che si occupano di Ricerca & Sviluppo. Nel momento in cui l’Unione Europea stanzia 80 miliardi di euro per la ricerca, vogliamo fare in modo che una parte arrivi al nostro settore, e lo facciamo tramite una speciale piattaforma che si chiama EPSI (European Platform for Sport Innovation). Oltre a questi obiettivi regolari, abbiamo anche obiettivi strategici a tre anni. Lavoriamo molto per favorire la pratica dell’attività fisica in Europa. In questo periodo, ad esempio, si sta discutendo a livello europeo della creazione di una European Week of Sport. Sosteniamo inoltre “Designed to Move”, l’iniziativa internazionale per favorire lo sviluppo dell’attività fisica nelle scuole. www.topsport.it 29
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