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Rivista della Diocesi 2011 - N. 1 - Webdiocesi

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ienza del dolore e il dolore vivo non può non essere toccata dalla speranza<br />

tecnologica.<br />

Se si considera la sofferenza con un’attenzione rivolta al vissuto psichico<br />

e morale o, più generalmente, umano di chi soffre, varia il codice di<br />

decifrazione e organizzazione dei segni. Tra il muto silenzio e lo strazio si<br />

iscrivono i moti dell’anima e gli umori del carattere del sofferente: la tristezza,<br />

la speranza, il pianto, la rassegnazione, la paura, perfino l’ironia e il<br />

sarcasmo sul proprio dolore. Emerge qui il carattere cruciale dell’esperienza<br />

del dolore. Il dolore delimita, perché fa esperire la propria limitazione.<br />

E in questo consente all’uomo di costituirsi integralmente come individuo<br />

per la semplice ragione che nessuno è sostituibile nel proprio dolore. Come<br />

aveva ben visto Kierkegaard l’io è un rapporto che si rapporta a se stesso.<br />

Questo rapportarsi dell’io con se stesso va interpretato come un intreccio<br />

o un nodo: l’io è infatti una rete polimorfa e multiversa di rapporti, che ha<br />

certo una sua consistenza, ma anche una sua posizione apparente in base al<br />

sistema di relazioni in cui è disposto. La rete di relazioni che costituiscono<br />

il soggetto non è una giustapposizione estrinseca di sequenze eterogenee,<br />

ma la coordinazione complessiva di forze gerarchiche. In questo senso il<br />

soggetto si costituisce come una relazione complessa e come un che di inesplicabile<br />

nella sua integralità. Il soggetto attinge la rappresentazione di sé<br />

come fascio d’esperienze ossia raccoglie in unità il flusso continuo dei suoi<br />

stati d’esistenza. Quest’unità di riferimento che intendiamo come io e che è<br />

interpretabile come un rapportarsi gerarchico di rapporti, si fa io in modo<br />

tutto peculiare nel dolore. Nel dolore non si è sostituibili perché il dolore è<br />

anticipazione <strong>della</strong> morte. In certo senso la morte è anticipata ogni giorno: è<br />

un’esperienza che si svolge nel cuore stesso <strong>della</strong> vita e che non è data solo<br />

da ciò che il tempo toglie e consuma, ma dal ridursi delle possibilità espansive<br />

<strong>della</strong> vita che si restringono e si ripiegano su se stesse. Il dolore, per il<br />

fatto stesso di restringere le possibilità di vita approssima alla fine dando<br />

sentore di essa. In ciò la sapienza cristiana che insegna che media vita in<br />

morte sumus è stata più perspicace di Epicuro che affermava che “la morte<br />

per noi non è nulla, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è<br />

la morte non ci siamo noi” 13 : in certo senso nel dolore la vita e la morte, che<br />

sono entità discordi, trovano un accordo e una possibilità di coesistenza.<br />

Il dolore è una diminuzione di sé e perciò contraddice il sé. Proprio per<br />

questo l’individuo lo subisce e non può sceglierlo, pena l’autodistruzione. Il<br />

dolore, in quanto evento negativo, è male: quando lo si sceglie o lo si accetta,<br />

lo si sceglierà e accetterà come passaggio obbligato o come rischio calco-<br />

13 EPICURO, Lettera a Meneceo, in Opere, Einaudi, Torino 1973, p. 108.<br />

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