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Rivista della Diocesi 2011 - N. 1 - Webdiocesi

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speranza intesa nel suo senso più autentico, che la salvaguarda da decadere<br />

in ideologia:<br />

Non possiamo avvalerci di questo atto e partire rassicurati come dopo lo happy<br />

end di un film triste. L’atto di speranza, certo, ha il presentimento di una totalità<br />

buona dell’essere all’origine e alla fine del «sospiro <strong>della</strong> creazione»; ma questo<br />

presentimento è solo l’idea regolatrice del mio tatto metafisico; e resta inestricabilmente<br />

mescolato all’angoscia che presenta una totalità propriamente<br />

insensata. Che «ciò sia buono» – Wie auch es sei das Seben, es ist gut – io non<br />

lo vedo: lo spero nella notte. E poi, sono nella speranza? Ecco perché, nonostante<br />

la speranza sia il vero contrario dell’angoscia, io non differisco granché dal<br />

mio amico disperato; sono inchiodato nel silenzio come lui, davanti al mistero<br />

di iniquità. Nulla è più vicino al nonsenso dell’angoscia che la timida speranza.<br />

E tuttavia questo atto infimo opera in silenzio e insieme si nasconde e si mostra<br />

nella sua potenza di ricapitolare a sua volta tutti i gradi dell’affermazione<br />

originaria. [...] La speranza entra dunque nel campo <strong>della</strong> riflessione, come<br />

riflessione <strong>della</strong> riflessione e tramite l’idea regolatrice di un tutto dell’essere<br />

buono; ma, a differenza di un sapere assoluto, l’affermazione originaria segretamente<br />

armata di speranza, non opera alcuna Aufhebung rassicurante; essa<br />

non «sovrasta», ma «affronta»; essa non «riconcilia», ma consola: ecco perché<br />

l’angoscia l’accompagnerà fino all’ultimo giorno. 52<br />

E ancora:<br />

La resurrezione, interpretata in una teologia <strong>della</strong> promessa, non è un avvenimento<br />

che chiude, nel compimento <strong>della</strong> promessa, ma un avvenimento che<br />

apre, perché rafforza la promessa confermandola. La resurrezione è il segno di<br />

una promessa che è ormai per tutti e così il senso <strong>della</strong> resurrezione è nel suo<br />

avvenire, la morte <strong>della</strong> morte, la resurrezione di tutti dai morti. Il Dio che si<br />

attesta non è dunque il Dio che è, ma il Dio che viene, e il già <strong>della</strong> resurrezione<br />

acuisce il non ancora <strong>della</strong> ricapitolazione finale. Ma questo significato <strong>della</strong><br />

resurrezione ci giunge mascherato dalle cristologie greche, che hanno fatto<br />

dell’incarnazione la manifestazione temporale dell’essere eterno ed eternamente<br />

presente, dissimulando così la significazione principale, cioè che il Dio <strong>della</strong><br />

promessa, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si è avvicinato, si è rivelato<br />

come colui che viene per tutti. Così mascherata dalla religione epifanica, la<br />

resurrezione è divenuta il pegno di ogni presenza del divino nel mondo presente:<br />

presenza culturale, presenza mistica; mentre il compito di una ermeneutica<br />

<strong>della</strong> resurrezione è di restituirne il potenziale di speranza di dire il futuro <strong>della</strong><br />

resurrezione. Il significato di «risurrezione » è in sospeso fin tanto che non è<br />

compiuto in una nuova creazione, in una nuova totalità dell’essere, cosicché<br />

52 RICOEUR, Storia e verità,, p. 289.<br />

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