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Rivista della Diocesi 2011 - N. 1 - Webdiocesi

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investirsi senza sprecarsi, a saper durare nella precarietà, capaci di amministrare<br />

le forze disponibili. In questo senso, se è vero – come dice Eschilo,<br />

che “sapere è soffrire”, vale anche il contrario, che “soffrire è sapere”. Qui<br />

infatti l’io perviene più propriamente ed autenticamente a sé: la percezione<br />

del sentimento di sé, il dire “io” è infatti il riflesso di qualcosa di più originario<br />

<strong>della</strong> propria egoità, è l’evidenza del divenire ed il contrasto tra l’esigenza<br />

di stabilità delle determinazioni ed il naturale fluire delle cose. Questa<br />

“situazione emotiva” fa da ambiente alla esposizione oggettiva del sé e il<br />

dolore sviluppa una situazione emotiva privilegiata per la comprensione e lo<br />

sdoppiamento, in quanto raffinato laboratorio in cui l’uomo si mette a tema<br />

e si comprende come ente esposto e in balia, contrassegnato dalla precarietà<br />

<strong>della</strong> finitezza e contingenza dell’esistere.<br />

Si tratta dunque di temprarsi nel dolore e di temprare il dolore, trovando<br />

il giusto equilibrio tra forza e misura, un equilibrio che non è dato una<br />

volta per tutte, ma qualcosa che va guadagnato di volta in volta. La vita<br />

dev’essere vissuta pienamente nonostante il dolore. La “metafisica del tragico”,<br />

poiché rende manifesto il contrasto originario, si riflette nel quotidiano<br />

come istanza di moderazione, che dà luogo ad una dinamica attiva e non<br />

ad una normativa repressiva: misura nella gioia e misura nel dolore, questo<br />

è il più alto concentrato di forza che il pensiero greco ha elaborato.<br />

La metafisica del tragico – così intesa e con la radicale e irresolubile<br />

enigmaticità che l’attraversa – costituisce per l’uomo greco la dimensione<br />

fondamentale del suo relazionarsi all’essere e di sussistervi come relazione:<br />

è la forma essenziale dello stare e dell’appartenere.<br />

3.2 Il dolore e l’interrogativo intorno a Dio: il livello ottimistico <strong>della</strong> teodicea<br />

La riflessione sul dolore ha ben presto coinvolto anche il tema del divino<br />

e del sacro. Alla domanda, vecchia quanto l’uomo, “perché il dolore?”<br />

è strettamente connesso, fin dalla riflessione dell’antichità, quello che da<br />

Leibniz è stato chiamato il problema <strong>della</strong> teodicea 25 : come possano, e se in<br />

ogni caso possano stare insieme da una parte la fede in Dio, che nella sua<br />

25 Scrive in proposito Kant: “Per teodicea si intende la difesa <strong>della</strong> somma sapienza del<br />

creatore del mondo contro l’accusa mossale dalla ragione a motivo di ciò che, nel mondo,<br />

appare contrario allo scopo. Ciò che si dice sostenere la causa di Dio.”<br />

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