Rivista della Diocesi 2011 - N. 1 - Webdiocesi
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CEI ’08: «Io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento<br />
a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore<br />
del suo corpo che è la Chiesa».<br />
Ciò che manca dunque non riguarda i patimenti di Cristo, ma quello che<br />
manca nella carne di Paolo.<br />
Le afflizioni (sofferenze) di Cristo sono ormai finite: Colossesi insiste troppo<br />
sulla pienezza, sulla supremazia totale e attuale del Cristo glorificato, al quale<br />
non manca niente, per poterla dimenticare; non dice che Cristo non abbia<br />
compiuto tutto ciò che doveva compiere, né che non abbia sofferto abbastanza,<br />
perché l’apostolo debba portare a compimento le sofferenze redentrici per la<br />
chiesa: perché allora, la mediazione del Cristo non sarebbe perfetta, mentre la<br />
lettera non smette di dire il contrario. Ciò che manca, ciò che Paolo deve condurre<br />
a termine, è il proprio itinerario, che egli chiama «tribolazioni del Cristo<br />
nella mia carne», e che riproduce quello del Cristo, nel suo modo di vivere e<br />
di soffrire mediante/per l’annuncio del vangelo e per la chiesa […]. L’apostolo<br />
non intende dire che egli aggiunga qualcosa all’opera mediatrice e salvifica del<br />
Cristo […]. Ma egli soffre per il bene <strong>della</strong> chiesa, per la sua saldezza, la sua<br />
costanza, la sua crescita nella conoscenza dei tesori resi manifesti da Dio in suo<br />
Figlio […]. Non è dunque per masochismo che Paolo si rallegra di soffrire, ma<br />
perché quello ch’egli sopporta giova alla chiesa, e le thlipseis sono un combattimento<br />
necessario perché tutti i gentili (ogni uomo) possano intendere il vangelo,<br />
credervi e divenire perfetti in Cristo 17 .<br />
Conclusione<br />
Dalla rapida indagine che abbiamo condotto, anche se in forma rapsodica<br />
e del tutto asistematica, una categoria fra le altre potrebbe proporsi<br />
come approccio fecondo al tema dell’umano soffrire, così com’è testimoniato<br />
nelle Scritture. Tale chiave di lettura unitaria potrebbe essere proprio la<br />
dimensione dell’appello, perché solitamente dalle situazioni di afflizione<br />
sorge una domanda, un’interpellanza (che, tra l’altro, accomuna credenti<br />
e non credenti). Il dolore è un luogo dove si affacciano prepotentemente<br />
tante domande (magari fino a quel momento del tutto latenti): perché? che<br />
senso ha? perché Dio lo ha permesso? aiutami! non lasciarmi solo! L’umano<br />
soffrire, dunque, chiede di potersi esprimere e lo fa soprattutto in forme<br />
raccoglibili tutte sotto la categoria – non è l’unica, ovvio – dell’appello, come<br />
invocazione di aiuto e di senso, rivolta ad un altro uomo o a Dio stesso.<br />
17 ALETTI J.-N., Lettera ai Colossesi. Introduzione, versione, commento (Scritti delle<br />
origini cristiane 12; Dehoniane Bologna, 1994) 121-122.<br />
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