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decanter 2, giugno 2006

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I Eppure i metalmeccanici venivano da anni di accordi separati,<br />

di sostanziale isolamento della Fiom. Tutti gli osservatori<br />

esterni pensavano che la lotta di Melfi sarebbe stata la tomba<br />

dell’organizzazione dei metalmeccanici della Cgil, le altre organizzazioni<br />

confederali hanno tentato di dare il colpo finale<br />

alla Fiom. E invece tutto poi si è volto in meglio.<br />

Non c’è dubbio che una conclusione diversa a Melfi e una<br />

sconfitta di quei lavoratori e quelle lavoratrici e della stessa<br />

Fiom avrebbe significato un altro successo della pratica degli<br />

accordi separati e l’isolamento della nostra organizzazione…<br />

Questo rischio infatti c’è stato, se non ricordiamo male…<br />

Certo che sì. La vertenza ha avuto dei passaggi delicatissimi<br />

ed è stata decisiva, oltre che il sostegno diffuso tra i lavoratori<br />

e le lavoratrici, la compattezza dei delegati nel gestire<br />

passaggi anche estremamente complicati. Basti pensare all’assemblea<br />

in cui abbiamo deciso di continuare con gli scioperi<br />

che venivano proclamati ad ogni cambio di turno e al tempo<br />

stesso di allentare la pressione davanti ai cancelli, togliendo i<br />

blocchi. Quando, quella sera, arrivavano i pullman e la gente<br />

scendeva e decideva di non entrare in fabbrica, abbiamo avuto<br />

la sensazione che potevamo farcela e ottenere un risultato<br />

positivo. Era una scommessa. Dopo 20 giorni di blocco dello<br />

stabilimento avevamo deciso di verificare non più della tenuta<br />

del presidio davanti alla fabbrica, ma il consenso della maggioranza<br />

di tutti i diecimila lavoratori del sito, liberato da ogni<br />

condizionamento.<br />

Chi aveva pensato che con quella mossa ci saremmo trovati<br />

di fronte a migliaia di lavoratori che sarebbero tornati a<br />

lavorare, e quindi avremmo sancito la nostra sconfitta, poteva<br />

verificare che accadeva esattamente l’opposto. Questo è diventato<br />

un elemento di forza assoluto per arrivare al risultato<br />

dell’accordo. Questo è uno dei tanti passaggi delicati, ma ve<br />

ne sono stati diversi altri. Non c’è dubbio che c’era tanta gente<br />

in giro che pensava che da quella situazione i lavoratori e la<br />

stessa Fiom sarebbero venuti fuori sconfitti e quindi si sarebbe<br />

definitivamente conculcata - in un conflitto così complicato<br />

come quello che era esploso a Melfi - qualsiasi espressione<br />

autonoma della soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici.<br />

Va tenuto conto che sul risultato positivo ha pesato favorevolmente<br />

un clima di solidarietà che si era creato nel Paese. È<br />

stato evidente, ad esempio, quando siamo venuti a fare la manifestazione<br />

a Roma, ma anche in tante altre occasioni, che la lotta<br />

di Melfi era diventata molto popolare. Ricordare all’opinione<br />

pubblica nazionale il fatto che vi sono lavoratori che fanno i turni,<br />

che lavorano di notte, che lavorano il sabato, e percepiscono<br />

una retribuzione di mille euro, è stato come rompere il muro del<br />

silenzio attorno a una realtà che in qualche modo viene continuamente<br />

oscurata dai mezzi di comunicazione…<br />

Anche questo, dunque, secondo te, ha favorito la “popolarità”<br />

di questa lotta?<br />

i n t e r v i s t a<br />

Sì non c’è dubbio. Poi l’intervento della polizia è stato un<br />

ulteriore passaggio che ha prodotto, tra le altre cose, un’indignazione<br />

generale. L’intervento della polizia e lo stesso atteggiamento<br />

tenuto dai lavoratori e dalle lavoratrici con una<br />

resistenza assolutamente passiva, senza che ci fosse nessuna<br />

reazione violenta, ha contribuito a determinare una situazione<br />

di isolamento della Fiat...<br />

E, secondo te, questa lotta operaia è stata anche una battaglia<br />

“meridionalista”?<br />

Sì. Sono stati spazzati via, nello spazio di pochi giorni, montagne<br />

di pregiudizi rispetto alla realtà meridionale. Secondo alcuni,<br />

essendoci al Sud poco lavoro, pur di averlo i meridionali<br />

si devono accontentare di quello che passa il convento… Tutte<br />

queste chiacchiere, con la vicenda di Melfi, sono state cancellate<br />

nella pubblica opinione nel giro di pochi giorni. Sotto questo<br />

aspetto ha agito una dinamica diversa rispetto ad altre vicende<br />

sindacali in cui sono stati coinvolti altri stabilimenti Fiat nel<br />

meridione. Basti pensare, agli inizi degli anni Novanta, alla vicenda<br />

della Fiat di Termoli nella vertenza sui turni di lavoro<br />

dove si era scatenata tutta una campagna contro l’atteggiamento<br />

dei lavoratori che non erano disponibili a trattare con l’azienda<br />

all’insegna dello slogan: «ma come? Non basta che al Sud fanno<br />

delle assunzioni e si mettono pure a discutere come e quanto si<br />

lavora?». Ecco, in questo caso si è messa in moto una dinamica<br />

opposta che sta, a mio avviso, anche ad indicare – dopo le follie<br />

degli anni Ottanta – un atteggiamento diverso e più avanzato<br />

rispetto ai lavoratori. Ritorna con forza la “questione” del lavoro.<br />

E non a caso ritorna in tutti i paesi europei dopo un lungo<br />

periodo nel quale era praticamente scomparsa dalla coscienza<br />

collettiva. A ben vedere la lotta di Melfi sta proprio a indicare un<br />

dato: ritorna attuale il problema dei diritti del lavoro. Nella vicenda<br />

di Melfi fu anche questa la scommessa: in quella famosa<br />

assemblea in cui decidemmo di togliere i blocchi e confermare<br />

lo sciopero, che durò cinque ore ed era aperta al pubblico e alla<br />

stampa, già dopo un’ora si era diffusa la notizia che la proposta<br />

dei delegati e della Fiom era in minoranza. Insomma che delegati<br />

e Fiom avevano persa l’assemblea. E credo che in quelle<br />

ore ci fosse in giro molta gente contenta…<br />

Anche nella stessa Cgil?<br />

«Spero di no, ma non ne sono sicuro. Comunque spero proprio<br />

di no.<br />

L’impressione che se ne ricava, tuttavia, è che la crescita<br />

di una coscienza sindacale stenta a prendere la strada del sindacalismo<br />

confederale. Nelle elezioni delle Rsu sono cresciute<br />

le organizzazioni del sindacalismo di base, segnate da un forte<br />

radicalismo, e quelle corporative.<br />

È vero che a differenza di Fim, Uilm, e Fismic questi sindacati<br />

sono stati in prima fila nelle lotte dei 21 giorni del 2004,<br />

ma è anche vero che in Sata, a differenza dell’indotto, la Fiom<br />

è cresciuta meno di quanto si pensasse.<br />

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