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decanter 2, giugno 2006

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SudPosizioni<br />

Sono qui ad Ischia, nella mia amata<br />

isola, mentre attrezzo il ragionamento,<br />

organizzo la scaletta<br />

ed inizio a scrivere questo articolo per<br />

“Decanter” sul quesito posto da Piero<br />

Di Siena sulla persistenza o meno di una<br />

“questione meridionale” nella fase storica<br />

attuale. Si tratta di una fase, a mio<br />

modo di vedere, che è già oltre l’epoca<br />

post-fordista dell’economia immateriale<br />

della conoscenza, maturata alla fine degli<br />

anni ’80 in combinazione con la caduta<br />

del muro di Berlino, e che, nel corso degli<br />

anni ’90 e fino ai nostri giorni, vede<br />

emergere ed affermarsi la nuova economia<br />

materiale imperniata sugli sviluppi<br />

delle rivoluzionarie innovazioni biotecnologiche<br />

e nanotecnologiche. Due<br />

economie che richiedono una saldatura,<br />

che per realizzarsi ha bisogno di uomini,<br />

quindi di una nuova classe dirigente, e<br />

di mezzi, quindi una nuova “saldatrice”<br />

(gli strumenti della BioEconomia?) per<br />

la loro fusione.<br />

E qui ad Ischia mi trovo immerso nel<br />

mezzo di due diversi e dolorosi eventi<br />

che ragguagliano abbastanza bene alcune<br />

Esiste ancora una questione meridionale?<br />

Mezzogiorno e Mediterraneo<br />

di fronte alle sfide<br />

della nuova “economia materiale”<br />

dinamiche territoriali che hanno caratterizzato<br />

nell’ultimo quindicennio l’intero<br />

Mezzogiorno. Questi eventi e la fase<br />

storica che stiamo attraversando esigono<br />

ambedue un nuovo modo di pensare ed<br />

interpretare il Mezzogiorno, che risulta<br />

forse agevolato, nell’analizzare la realtà,<br />

quando si dispone di un osservatorio<br />

peculiare com’è quello fornito dal contesto<br />

lucano, cuore (o osso, parafrasando<br />

Manlio Rossi-Doria) del Mediterraneo<br />

interno dei Mezzogiorni d’Europa.<br />

Il primo dei funesti e luttuosi eventi a<br />

cui mi sono riferito è costituito dalla frana<br />

del mese scorso. Sebbene nel suo esito<br />

sia stato ben coadiuvata e supportata da<br />

una scellerato abusivismo edilizio, opportunamente<br />

condonato, esso trova nel<br />

dissesto idrogeologico il suo effetto ma<br />

non la sua causa. Quest’ultima va invece<br />

rintracciata in quella rottura dell’equilibrio<br />

territorio-produzione, sempre meridionalistico<br />

che ad essa si collega, e sempre<br />

meno sulle categorie tuttora egemoni<br />

dell’Economia Standard (parafrasando<br />

Georgescu-Roegen) e delle politiche<br />

economiche che da queste derivano.<br />

SERGIO VELLANTE<br />

Ripensare il meridione a partire dalla dimensione locale. Io ricomincio da Ischia, la mia amata<br />

isola, dalla terribile frana che l’ha colpita e dal sorgere di un centro di documentazione sulla<br />

sua cultura. I paradigmi di un nuovo meridionalismo dopo l’esaurimento della società<br />

fondata sull’”economia immateriale della conoscenza”<br />

La frana ha portato a compimento un<br />

ciclo di devastazione di quei bellissimi<br />

paesaggi collinari, descritti magistralmente<br />

da Emilio Sereni e noti con la denominazione<br />

di “giardini Mediterranei”.<br />

Parlo dei terrazzamenti, contenuti nella<br />

loro forma scalare dai ciglioni o dai muri<br />

a secco (le parracine ischitane) ed ospitanti<br />

quell’agricoltura promiscua fatta di<br />

vite, olivo, agrumi, ortaggi e zootecnia<br />

di bassa (conigli da fossa e ruspanti ad<br />

es.) e media corte.<br />

Si tratta ancora una volta di una frana<br />

causata da un incompatibile meccanismo<br />

di gestione produttiva ed ambientale<br />

del territorio le cui culture di efficienza<br />

tecnica non sono dissimili da quelle<br />

socio-economiche e storico-istituzionali<br />

della competitività, egemoni nell’attuale<br />

società dei saperi. Così, di nuovo, nel<br />

Mezzogiorno la distruzione paesaggistica<br />

è accompagnata da una grave perdita di<br />

vite umane, vittime di quella mano invisibile<br />

che permette alle popolazioni locali<br />

di restare sull’isola e di operare nel turismo,<br />

solo e soltanto se esse si omologano<br />

ad un preciso modello di consumo.<br />

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