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decanter 2, giugno 2006

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C<br />

Sinisgalli l’inattuale<br />

Discorrendo dell’idea di progresso<br />

Novantotto anni dalla nascita (1908), venticinque dalla morte<br />

(1981): Sinisgalli ha attraversato il “Secolo breve” quasi per<br />

intero, restando tutto interno ad esso. Le scadenze offrono le<br />

occasioni per ripensare, e rivedere a distanza, perché l’immagine<br />

sia più ampia e più chiara. L’attenzione che Decanter ha<br />

recentemente dedicato al poeta di Montemurro rimette sanamente<br />

in circolo la necessità di un dibattito e di una coscienza<br />

della sua esperienza poetica e culturale, così particolare e quasi<br />

unica. Vorrei approfittarne allora, per proporre una lettura forse<br />

inconsueta, in controtendenza, dell’opera di Sinisgalli, basandola<br />

sulla constatazione della sua inattualità. L’autore lucano, che<br />

sente ed ama il mondo classico, che ricerca la vertigine tra sensi<br />

e ragione, tra poesia e prosa, che guarda con lo stesso occhio i<br />

pomodori e le superfici algebriche, che scopre l’antico sullo scenario<br />

di una Basilicata agricola, più arcaica che mitica, urente e<br />

povera (Lucania), disegna un percorso che ha per centro l’unità<br />

di tutta l’esperienza umana di fronte al mondo. Unità della conoscenza<br />

matematica e di quella poetica, unità dell’astratto e<br />

del quotidiano, unità -in maniera più vasta e comprensiva- delle<br />

‘due culturÈ. Su questo aspetto dell’opera di Sinisgalli si è più<br />

volte ritornati. Eppure, accanto a questa unicità di visione, dal<br />

poeta ricercata e auspicata (la stessa della cultura classica e rinascimentale,<br />

ancora viva fino all’ illuminismo), mi pare altrettanto<br />

importante cogliere quanto Sinisgalli fosse cosciente di<br />

esserne in realtà uno degli ultimi portatori. A ripercorrere i suoi<br />

scritti si avverte un passaggio fra il sentimento degli anni ’30-<br />

’50, fiducioso e ispirato, anche se antiretorico ed “antieloquente”<br />

e il disincanto sempre più aspro degli anni ’70-’80. Da una<br />

parte l’età eroica di Furor Mathematicus («posso dire di aver<br />

c u l t u r a<br />

Il dibattito<br />

FABER FABBRIS<br />

conosciuto giorni di estasi tra gli anni 15 e gli anni 20 della mia<br />

vita per virtù delle matematiche»,1944) le esperienze milanesi,<br />

la collaborazione con Olivetti, la vittoria al Festival di Venezia<br />

con Lezione di Geometria, la rivista Civiltà delle Macchine;<br />

dall’altra l’Età della luna («Il mio spirito è contrario allo spirito<br />

meccanico. Potrei anche dire che il meglio della mia cultura mi<br />

fa quasi vergogna», 1962), il Passero e il lebbroso, Mosche in<br />

bottiglia. Una flessione che tuttavia non è brusca, un cambio di<br />

rotta appena riconoscibile, quasi che nel tragitto di Sinisgalli si<br />

faccia a poco a poco spazio la consapevolezza che l’unità sta per<br />

smarrirsi, la sensazione che egli si trovi sempre più solo ad invocarla.<br />

E se questo processo è vissuto dal poeta con ironia, con<br />

fredda e disincantata malinconia (Due Poeti ai giardini), sempre<br />

più forte è l’avvertimento di una perdita alla quale sa di non<br />

potersi opporre. Sinisgalli sa cha una stagione sta per chiudersi e<br />

che le parole non soccorrono a sufficienza: già nel 1959 in morte<br />

del matematico napoletano scrive:“Caccioppoli si è ucciso<br />

con un colpo alla nuca ; […] non ci si difende dalla noia con la<br />

matematica, come non ci si difende con la poesia” 1 . Forse si può<br />

leggere un parallelo tra questo processo e l’esaurimento della<br />

vena poetica che Sinisgalli verrà sempre più spesso lamentando<br />

- ai nostri occhi di lettori senza ragione - per avvicinarsi, quasi<br />

rifugiarsi, nel disegno (“…vecchia musa decrepita, il poeta è<br />

ogni anno più cieco” 2 ). Alla stessa perdita, alla constatazione<br />

che i tempi e il mondo non permettevano più quella prospettiva,<br />

assisterono anche - a titoli e con percorsi diversi - Italo Calvino<br />

e Primo Levi, due altri esploratori del terreno accidentato e<br />

quasi per niente battuto (soprattutto nella letteratura italiana) tra<br />

‘letterÈ e ‘scienzÈ.<br />

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