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decanter 2, giugno 2006

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a c c o n t o<br />

appuntiti e simmetrici come le ali di una freccia, la camicia<br />

incollata al ventre con i bottoni sul punto di scoppiare, e le<br />

guance rosse e rugose. Fece per chiedere a chi dei due spettasse<br />

il turno, ma quello l’interruppe prima che riuscisse a<br />

pronunciare la frase per intero, gli indicò l’altro con un gesto<br />

di stizza che sfociò in un grugnito – imputabile probabilmente<br />

alla chiusura forzata della conversazione -, e gli voltò le spalle.<br />

Il tassista capitato a Fabrizio, invece, aveva spalle e bicipiti<br />

balestrati, gambe in rapporto al torace troppo corte e striminzite,<br />

e un testone tondo come un cerchio di Giotto. Avviò<br />

il motore, e prima di partire, dopo aver domandato a Fabrizio<br />

dove dovesse dirigersi, accese la radio, regolò il volume, inforcò<br />

gli occhiali da sole a goccia con le lenti verdi, e allungando<br />

il collo come un tacchino si rimirò compiaciuto nello specchietto<br />

retrovisore.<br />

In macchina Fabrizio non spiccicò parola. Si sistemò regalmente<br />

sul sedile come su un trono, allentò di un bottone la<br />

morsa della camicia sul collo, e vi passò tutt’intorno il fazzoletto.<br />

Il tassista lo spiava rapsodicamente dallo specchietto, e al<br />

riparo di un ghigno tra il sardonico e il beffardo e che, a dire la<br />

verità, mal si combinava con quella massa fulgente di muscoli,<br />

conferendogli un’aria piuttosto idiota, malediva impudicamente<br />

il nuovo cliente, ingiuriandolo tra sé a non finire per il sudore<br />

che doveva spalmare sul coprisedile nuovo di zecca.<br />

Il traffico era rado e scorrevole come può esserlo soltanto<br />

in un fine di settimana infuocato a cavallo dell’ora di pranzo, e<br />

in una ventina di minuti scarsi, prima cioè di quanto Fabrizio<br />

stesso avesse preventivato, raggiunsero il Quartiere Africano.<br />

Giunti che furono davanti al portone, Fabrizio fece segno al<br />

tassista di accostare. Domandò con un certo sussiego il prezzo<br />

della corsa, e quando ormai era già fuori dalla macchina<br />

con una gamba e con le dita a tenaglia sul portafoglio, in quel<br />

preciso istante realizzò di non avere più in tasca il becco di un<br />

centesimo, e impallidì.<br />

Il tassista ebbe un vago sentore che qualcosa di spiacevole<br />

stava per realizzarsi, e aggrottò la fronte in un’espressione<br />

che era insieme d’allerta e di massima concentrazione. Fabrizio<br />

pensò dapprima di cavarsela con la tessera del bancomat,<br />

ma prevedendo che la macchinetta l’avrebbe impietosamente<br />

sbugiardato, e che quindi non avrebbe risolto nulla in quel<br />

modo, accantonò il proposito con altrettanta rapidità con cui<br />

gli era venuto in mente. Pregò allora l’autista di pazientare<br />

ancora qualche minuto, scattò fuori dalla macchina come la<br />

molla di una trappola per topi, e incollò il dito al bottone del<br />

citofono.<br />

Per quanto si desse la pena di scampanellare, dall’altro capo<br />

del filo non rispondeva nessuno.<br />

Le due uniche persone, infatti, in grado di intervenire con<br />

una certa efficacia in un frangente sciagurato come quello in<br />

cui Fabrizio si era malauguratamente andato a invischiare, erano<br />

contemporaneamente occupate in altro, e non potevano<br />

prestare il soccorso sperato: il padre ronfava beatamente in<br />

poltrona davanti al televisore con un volume così alto che<br />

avrebbe attutito, se non coperto del tutto, il boato di una can-<br />

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nonata; mentre la madre sorbiva piacevolmente un caffè con<br />

la vicina del piano di sotto.<br />

Fabrizio si girò verso il tassista, che intanto aspettava a braccia<br />

conserte, massiccio e rigido come un totem, sul marciapiede,<br />

e piegò le labbra in una smorfia che se nelle sue intenzioni<br />

doveva trasudare pura rassicurazione, comunicava invece una<br />

smaccante e progressiva perdita di controllo.<br />

Si riattaccò allora nuovamente al citofono. Schiacciò sul tasto<br />

con insistenza, tese l’orecchio, e aspettò una risposta con<br />

il fiato sospeso.<br />

Il tassista sbuffava come un toro prima della carica. Gli ribolliva<br />

il sangue al solo pensiero di poter essere stato preso<br />

in giro, o di aver fatto la corsa a vuoto, per niente. Circolavano<br />

di tanto in tanto tra colleghi aneddoti e storielline su clienti<br />

stravaganti, ma a quei racconti aveva sempre obiettato che se<br />

qualcosa di strambo fosse successa a lui, al malcapitato l’eccentricità<br />

avrebbe saputo bene dove infilargliela.<br />

Si sfregò quindi le mani, e avanzò deciso in direzione del<br />

portone.<br />

Da parte sua, Fabrizio aveva portato un palmo alla fronte,<br />

e con il capo chino e gli occhi chiusi, come un santo, meditava<br />

intensamente sulle possibilità che gli rimanevano di sbrogliare<br />

diplomaticamente la matassa. Si intimava di non perdere la<br />

testa. Si ripeteva che in fondo non stava accadendo niente d’irreparabile,<br />

che mantenendo la calma e soffocando sul nascere,<br />

al primo vagito, ogni fosco presentimento, una soluzione la si<br />

sarebbe trovata senz’altro, e per darsi coraggio, o anche soltanto<br />

perché avvertiva un leggero pizzicore sul petto, strinse<br />

la giacca sulla tasca dell’assegno.<br />

Rinfrancato e sicuro di traghettare alla fine il tassista alla sua<br />

sponda, abbandonò allora la posa da eroe romantico davanti<br />

all’infuriare degli elementi, allargò le braccia come se si preparasse<br />

ad accogliere un amico, e si schiarì la voce. Avrebbe voluto<br />

esordire con una frase propositiva e ragionevole, del tipo:<br />

“è colpa mia, ma non si preoccupi che avrà quanto le devo”,<br />

ma non ne ebbe modo. Imprecando, il tassista sopraggiunse<br />

impetuoso come un treno in corsa, affondò il suo geometrico<br />

testone nel petto gracilino di Fabrizio, spedendolo gambe all’aria<br />

sul marciapiede, come un pacco di giornali lanciato da un<br />

furgone, e prima che avesse il tempo di rimettersi in piedi e<br />

abbozzare un sia pur timido tentativo di reazione, fu investito<br />

da una nuova scarica di colpi.<br />

Quando ne ebbe abbastanza, dopo un ultimo calcetto e uno<br />

sputo d’umiliazione, il tassista si rassettò la maglietta sui muscoli,<br />

e si allontanò. Sempre imprecando, ma soddisfatto.<br />

Fabrizio pensò che, tutto sommato, al punto in cui si erano<br />

spinte le cose, sarebbe potuto andargli anche peggio.

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