a c c o n t o 58
SudPosizioni Sono qui ad Ischia, nella mia amata isola, mentre attrezzo il ragionamento, organizzo la scaletta ed inizio a scrivere questo articolo per “Decanter” sul quesito posto da Piero Di Siena sulla persistenza o meno di una “questione meridionale” nella fase storica attuale. Si tratta di una fase, a mio modo di vedere, che è già oltre l’epoca post-fordista dell’economia immateriale della conoscenza, maturata alla fine degli anni ’80 in combinazione con la caduta del muro di Berlino, e che, nel corso degli anni ’90 e fino ai nostri giorni, vede emergere ed affermarsi la nuova economia materiale imperniata sugli sviluppi delle rivoluzionarie innovazioni biotecnologiche e nanotecnologiche. Due economie che richiedono una saldatura, che per realizzarsi ha bisogno di uomini, quindi di una nuova classe dirigente, e di mezzi, quindi una nuova “saldatrice” (gli strumenti della BioEconomia?) per la loro fusione. E qui ad Ischia mi trovo immerso nel mezzo di due diversi e dolorosi eventi che ragguagliano abbastanza bene alcune Esiste ancora una questione meridionale? Mezzogiorno e Mediterraneo di fronte alle sfide della nuova “economia materiale” dinamiche territoriali che hanno caratterizzato nell’ultimo quindicennio l’intero Mezzogiorno. Questi eventi e la fase storica che stiamo attraversando esigono ambedue un nuovo modo di pensare ed interpretare il Mezzogiorno, che risulta forse agevolato, nell’analizzare la realtà, quando si dispone di un osservatorio peculiare com’è quello fornito dal contesto lucano, cuore (o osso, parafrasando Manlio Rossi-Doria) del Mediterraneo interno dei Mezzogiorni d’Europa. Il primo dei funesti e luttuosi eventi a cui mi sono riferito è costituito dalla frana del mese scorso. Sebbene nel suo esito sia stato ben coadiuvata e supportata da una scellerato abusivismo edilizio, opportunamente condonato, esso trova nel dissesto idrogeologico il suo effetto ma non la sua causa. Quest’ultima va invece rintracciata in quella rottura dell’equilibrio territorio-produzione, sempre meridionalistico che ad essa si collega, e sempre meno sulle categorie tuttora egemoni dell’Economia Standard (parafrasando Georgescu-Roegen) e delle politiche economiche che da queste derivano. SERGIO VELLANTE Ripensare il meridione a partire dalla dimensione locale. Io ricomincio da Ischia, la mia amata isola, dalla terribile frana che l’ha colpita e dal sorgere di un centro di documentazione sulla sua cultura. I paradigmi di un nuovo meridionalismo dopo l’esaurimento della società fondata sull’”economia immateriale della conoscenza” La frana ha portato a compimento un ciclo di devastazione di quei bellissimi paesaggi collinari, descritti magistralmente da Emilio Sereni e noti con la denominazione di “giardini Mediterranei”. Parlo dei terrazzamenti, contenuti nella loro forma scalare dai ciglioni o dai muri a secco (le parracine ischitane) ed ospitanti quell’agricoltura promiscua fatta di vite, olivo, agrumi, ortaggi e zootecnia di bassa (conigli da fossa e ruspanti ad es.) e media corte. Si tratta ancora una volta di una frana causata da un incompatibile meccanismo di gestione produttiva ed ambientale del territorio le cui culture di efficienza tecnica non sono dissimili da quelle socio-economiche e storico-istituzionali della competitività, egemoni nell’attuale società dei saperi. Così, di nuovo, nel Mezzogiorno la distruzione paesaggistica è accompagnata da una grave perdita di vite umane, vittime di quella mano invisibile che permette alle popolazioni locali di restare sull’isola e di operare nel turismo, solo e soltanto se esse si omologano ad un preciso modello di consumo. 59