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decanter 2, giugno 2006

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s u d p o s i z i o n i<br />

Ciò accresce la convinzione che non è<br />

possibile pensare, studiare ed interpretare<br />

il Mezzogiorno con la strumentazione<br />

analitica afferibile alla sola “economia<br />

della conoscenza”. C’è, in realtà, sempre<br />

più bisogno di una sua reale integrazione<br />

con le strumentazioni analitiche della<br />

nuova economia materiale (in sintesi<br />

capitale umano e biocapitale) e le conseguenti<br />

interpretazioni maturate nella<br />

storia tecnologica, economica, sociale<br />

ed istituzionale dei territori. Una piena<br />

consapevolezza di ciò in realtà non si<br />

avverte neanche nell’ampio, e talvolta<br />

polemico, dibattito che si sta sviluppando<br />

oggi sul Mezzogiorno. Si ha la netta<br />

sensazione di ciò, quando si affrontano<br />

le idee di sviluppo e tecnologia. Lo<br />

sviluppo viene quasi da tutti correlato<br />

alla crescita produttiva, all’espansione<br />

occupazionale ed agli aumenti di reddito<br />

tralasciando i legami con l’ambiente,<br />

il territorio, la storia, la società e le<br />

istituzioni. E la tecnologia - intesa pure<br />

modernamente come fusione tra macchinari,<br />

capitale umano, regole organizzative<br />

ed informazione – viene legata al<br />

62<br />

solo paradigma meccanicistico negando<br />

l’esistenza di quello approccio olistico<br />

od organicistico insito all’equilibrio territorio-produzione.<br />

Questa forma di riduttivismo oramai<br />

pervade la cultura meridionalistica dei<br />

giorni nostri tanto sul versante analitico<br />

quanto su quello propositivo. Tale<br />

riduttivismo, semplificando al massimo,<br />

attanaglia sia il pensiero meridiano<br />

espresso da Franco Cassano (anche nella<br />

più recente versione proposta in Homo<br />

Civicus) e da Piero Bevilacqua che quello<br />

antimeridiano che trova le sue più<br />

alte espressioni in Giuseppe Galasso ed<br />

Aurelio Musi. Ma esso permea anche<br />

alcuni recenti contributi sulle politiche<br />

di sviluppo del Mezzogiorno elaborati<br />

da Gianfranco Viesti, Nicola Rossi e<br />

Fabrizio Barca. Le proposte di abolire o<br />

di capovolgere o di non frenare il Mezzogiorno<br />

rischiano di concretizzarsi abolendo<br />

l’equilibrio territorio-produzione,<br />

capovolgendo la programmazione dal<br />

basso e non frenando gli sciami di cavallette<br />

portatrici di devastanti culture esogene.<br />

Dettaglierò e argomenterò queste<br />

S<br />

critiche in una prossima occasione! Ritorno<br />

nella mia Isola per chiedere: come<br />

va arginata la frana? Come sosterremo<br />

il nanismo di quelle imprese adeguando<br />

il nostro modo di fare ricerca e formazione?<br />

Come ricuseremo quella idea di<br />

turismo devastante e penalizzante per la<br />

cultura locale? Come renderemo partecipe<br />

della ricostruzione le soggettualità<br />

locali interagenti con i saperi generali?<br />

La risposta: iniziamo a discutere da una<br />

piccola realtà del Mediterraneo di una<br />

questione euromeridionale, facendoci<br />

supportare, caro Piero Di Siena, da quel<br />

“gusto minuto per le piccole cose”, di<br />

togliattiana memoria, a cui la nostra generazione<br />

è stata educata.<br />

Note<br />

1 Il tipicamente meridionale si riferisce al fatto<br />

che i territori ricadono in una precisa area geografica<br />

e che l’evoluzione del rapporto uomo natura<br />

oltre a risentire di questa specificità ambientale e<br />

stato fortemente segnato dal processo migratorio<br />

avutosi nel corso degli anni ‘50/60. Perciò nel<br />

Mezzogiorno la rottura dell’equilibrio territorio<br />

produzione, che oramai è un fatto planetario ( si<br />

pensi a New Orleans ed alle Alpi), assume una<br />

propria tipicità.

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