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decanter 2, giugno 2006

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Fabrizio rovesciò la testa all’indietro, e si massaggiò le tempie.<br />

Era fiducioso. Credeva che, alla fine, al prezzo di un’ulteriore<br />

manciata di fatica e restrizioni, si sarebbe aggiustato tutto e<br />

che ogni tassello sarebbe andato al posto giusto.<br />

Un giorno avrebbe avuto un ufficio di ben altro stile rispetto<br />

a quello della Belli – per un architetto lo stile è un requisito<br />

fondamentale, non una minuzia qualsiasi -, la sua firma in calce<br />

a un rotolino di disegni riga e squadra gli avrebbe finalmente<br />

consentito una vita decente, quella che in realtà meritava,<br />

e a Chiara avrebbe restituito tutto, fino all’ultimo centesimo,<br />

decuplicato con gli interessi. L’avrebbe sommersa di fiori e di<br />

regali, come in una bella storia a lieto fine; mentre per quanto<br />

riguardava suo padre...beh, che si rodesse pure il fegato dall’invidia.<br />

Udì allora le note di una fisarmonica che montavano come<br />

un’onda anomala dal fondo del vagone, e raddrizzò di colpo la<br />

testa, come se una zanzara l’avesse punto sulla nuca.<br />

I suoni provenivano da una coppia di suonatori composta<br />

da un gigante con le spalle cascanti, il naso rosso e le scarpe<br />

consumate sulle punte, tra le cui grinfie una chitarra elettrica<br />

dondolava docile come un fuscello di giunchi accarezzato dal<br />

vento, e un ragazzotto dal viso stretto e il mento appuntito,<br />

scuro di carnagione, con la camicia arrotolata ai gomiti, e i<br />

pantaloni tagliati al polpaccio.<br />

Suonavano probabilmente da quando dovevano essere guizzati<br />

dentro alla stazione precedente, ma Fabrizio, preoccupato<br />

com’era delle decisioni del gruppetto in tenuta da basket<br />

prima, e totalmente assorto nei suoi pensieri di gloria poi,<br />

non se n’era minimamente avveduto. O almeno non in maniera<br />

cosciente. Perché la musica invece, ora se ne rendeva<br />

nitidamente conto, si era fatta strada comunque, raggiungendo<br />

la sua magnifica cavalcata immaginaria e colorandola di un<br />

languore soffuso come la luce di un lampione isolato in una<br />

stradina di periferia.<br />

Si dispose quindi seriamente all’ascolto, con i gomiti sui ginocchi<br />

e il mento poggiato alle nocche intrecciate. Considerò<br />

per l’ennesima volta che quel sabato era un giorno baciato<br />

dalla grazia, che lo era stato sin dal momento in cui aveva<br />

messo i piedi fuori dal letto, e che continuava ad esserlo a dispetto<br />

dei singhiozzi in cui si era senilmente sciolto il motore,<br />

di Suor Sofferenza, e della multa affibbiatagli dai controllori.<br />

Nonostante tutto, si trattava pur sempre di eventi trascurabili,<br />

di temporanee macchie scure in un arco di luce, di problemucci<br />

di poco conto che poteva finalmente concedersi il gusto<br />

di liquidare con l’indifferenza spumeggiante di una semplice<br />

alzata di spalle.<br />

Che genere di danni potevano ormai derivargli dalla sostituzione<br />

di un motore o da una contravvenzione?<br />

Non si considerava certo un uomo arrivato, questo no, non<br />

ancora, ma non era più lo squilibrato che vacillava al primo<br />

scossone. Non più. D’ora in avanti Fabrizio Berti non si sarebbe<br />

angustiato per una piccolezza qualsiasi. Aveva una solidità<br />

nuova ora, uno spessore diverso che lo librava come un<br />

sovrano al di sopra delle comuni preoccupazioni. Il Fabrizio<br />

r a c c o n t o<br />

tremolante e arrabattone di un tempo non esisteva più, si era<br />

dileguato come un’ombra in un vicolo stretto, mentre una<br />

sconosciuta e meravigliosa sensazione di onnipotenza, maestosa<br />

come una cattedrale, si propagava fino all’ultima delle<br />

sue fibre con la rapidità e la virulenza di un’infezione letale. Il<br />

futuro gli avrebbe sicuramente teso trappole e trabocchetti<br />

d’ogni tipo, ma lui li avrebbe superati di slancio e con disinvoltura,<br />

ci avrebbe messo la mano sul fuoco.<br />

Questo era, nel fondo, il suo più intimo convincimento.<br />

A una persona caparbia e dotata come lui, pensava, la vita<br />

doveva per forza di cose, ad un certo punto, cominciare a sorridere.<br />

E Fabrizio avvertiva come un impulso prepotente e con<br />

il cuore colmo d’ottimismo che quel momento era finalmente<br />

arrivato anche per lui, che la magra poteva definitivamente<br />

considerarsi conclusa, e che nonostante la minaccia sempre<br />

insidiosa di qualche turbolenza di passaggio, non sarebbe più<br />

tornato indietro.<br />

Perciò, quando il giovane con la fisarmonica gli si chinò davanti<br />

con un bicchierone sformato e appiattito tra le mani, fu<br />

per Fabrizio del tutto spontaneo cavarsi di tasca il portafoglio,<br />

frugarvi dentro alla ricerca di qualche spicciolo, e non trovandone<br />

alcuno, neppure un centesimo, non volendo rappresentare<br />

un motivo di delusione per chicchessia, pizzicare con due<br />

dita il lembo sporgente dei 50 €, sfilarli con un elegante colpo<br />

di polso, secco come una frustata, e depositarli con l’indifferenza<br />

del mecenate nel fondo del bicchiere.<br />

Il ragazzo ritirò il braccio contenendo il gesto a fatica, lanciò<br />

un’occhiata trepidante al socio in affari, e temendo forse<br />

che il munifico benefattore potesse essere folgorato da un<br />

repentino ripensamento, si defilò in tutta fretta.<br />

La mora strabuzzò gli occhi come di fronte a un fenomeno<br />

soprannaturale, e non appena fu certa di non esser vista, rivolgendosi<br />

all’amica, si picchiettò con l’indice sulla tempia. Quindi<br />

riattaccò discorso in un tono da scampata a un’apocalisse che<br />

fece rabbrividire di sdegno Fabrizio, e lo costrinse a voltarsi<br />

verso il finestrino.<br />

Varcati i cancelli della stazione, non avendo ancora stabilito<br />

come raggiungere l’appartamento dei suoi, Fabrizio<br />

si fermò titubante sul marciapiede. Indossò la giacca<br />

con la cartella stretta tra le ginocchia, si batté sul petto in corrispondenza<br />

della tasca con l’assegno, e si guardò intorno con<br />

la serietà di un marinaio che scruta pensoso l’orizzonte.<br />

A pochi metri da lui, sul lato opposto della strada, accanto<br />

a un’aiuola con un pino al centro alto quanto un campanile,<br />

scorse l’area riservata al posteggio dei taxi, e dopo una sommaria<br />

occhiata di confronto con gli autobus accalcati come<br />

pachidermi arroventati lungo i capolinea, assicuratosi che non<br />

passasse nessuno, allungò il passo e attraversò. Si avvicinò a<br />

due macchine bianche, quasi identiche, allineate come sulla<br />

griglia di partenza di una corsa, con i conducenti in piedi nel<br />

mezzo come salsicciotti in un panino, l’uno di fronte all’altro e<br />

con le schiene poggiate agli sportelli.<br />

Fabrizio si rivolse al più anziano dei due, un uomo dai capelli<br />

grigi e ispidi che gli spiovevano sulla fronte à la Diabolik,<br />

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