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decanter 2, giugno 2006

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C<br />

Gerardo Cosenza, La trottola, tecnica mista su tela<br />

Pagina accanto: Gerardo Cosenza nel suo studio<br />

a qualche istante - in quella sala assai luminosa che – rammento<br />

ancora oggi in maniera molto vivida - prendeva il sole da<br />

ogni parte della stanza. Ricordo, inoltre, il suo sorriso, la sua<br />

emozione: tenera come quella di un bambino che mostra - in<br />

maniera ingenua, ma non troppo - qualcosa di davvero grande,<br />

di eccezionale, d’importante. Ricordo, peraltro, il mio stupore:<br />

intenso come quello che si prova davanti a qualcosa di cui<br />

- fino ad un istante prima - non si è mai avuta una percezione<br />

precisa. L’opera era davvero bella: energica, vigorosa, a tratti<br />

persino violenta, ma sempre – ed in ogni caso – lirica, poetica,<br />

emotivamente accattivante, svolta lungo un fraseggio astratto,<br />

leggi pure fantastico (fatto di brandelli emotivi e dunque, di lacerti<br />

di memoria) dove i richiami andavano dalla natura morta<br />

(interpretata in maniera statica, come fosse dentro un cesto di<br />

vimini, ma poi ribaltata, in maniera dinamica, sul piano prospettico<br />

del quadro) fino ad arrivare ad alcuni dettagli fantastici,<br />

che pure si trovavano al suo interno e che erano stati presi<br />

in basso al quadro di “Les Demoiselles d’Avignon” di Pablo<br />

Picasso (in breve: un grappolo d’uva ed una fetta d’anguria).<br />

c u l t u r a<br />

Come ben si comprende da questo mio breve racconto,<br />

ricordo – dunque - con enorme piacere quest’esperienza, del<br />

1984, fatta insieme con Gerardo Cosenza: lì, a Montesano sulla<br />

Marcellana. Provo la stessa emozione, quando penso alla<br />

visita che facemmo – appena due anni dopo, nel 1986 - alla<br />

Biennale di Venezia, passando per Bologna e per i Colli Euganei.<br />

In quest’altra occasione era anche con noi l’artista Arcangelo<br />

Moles e uno zio di Gerardo. Insieme vedemmo -. nella<br />

città lagunare - le grandi tele di Emilio Vedova: davanti alle<br />

quali provammo una sensazione di profondo appagamento,<br />

generato da una modernità e da una grandezza stilistica senza<br />

uguali. In quell’occasione l’amico affettuoso, l’artista stravagante,<br />

ma ricco di valori interiori, confidò a me e ad Arcangelo<br />

Moles due suoi segreti.<br />

Il primo: la dannazione che egli provava a voler realizzare<br />

la perfezione assoluta, in ogni suo lavoro. Per quello che<br />

ricordo ci disse all’incirca questo: “Per me la pittura è una<br />

maledizione, dalla quale non riuscirò mai a venir fuori, che mi<br />

prende, che mi cattura, che mi costringe a lavorare, per ore ed<br />

ore, senza mai fermarmi; davanti ad una tela, tentando di realizzare<br />

qualcosa di assai perfetto, di assoluto, che non si possa<br />

contraddire in alcun modo”.<br />

Il secondo segreto che Gerardo Cosenza ci volle svelare in<br />

questa occasione, ci lasciò assai sorpresi: di gran lunga di più<br />

del primo. Ci raccontò, infatti, che per un suo problema visivo<br />

– che si portava dietro sin dalla nascita - aveva qualche difficoltà<br />

a distinguere in maniera netta e precisa i colori. Perlopiù<br />

questa sua difficoltà si realizzava (e questo ci sbalordì moltissimo!)<br />

sul rosso e sul verde: che sono due colori che non sono<br />

mai mancati – per la verità - nella tavolozza cromatica di questo<br />

artista; perlomeno fino alla grande svolta da lui effettuata<br />

- a cavallo del terzo Millennio - di andare verso i colori caldi<br />

- le cosiddette terre -. Una scelta, quest’ultima, che è stata fatta<br />

da parte dell’artista dopo il Duemila: ovverosia in quella che<br />

rappresenta la sua più recente - ed anche ultima - produzione<br />

pittorica: quella che precede la sua prematura dipartita e che<br />

ha avuto i suoi due grandi momenti di gloria nell’antologica<br />

da lui fatta - nel 2003 - al caledarium delle terme di Latronico<br />

(in provincia di Potenza) e nello stesso anno a Bruxelles, nei<br />

locali del Parlamento dell’Unione Europea.<br />

Tornando al periodo che va da 1984 al 1986, dobbiamo<br />

aggiungere che esso è stato - ampiamente e sufficientemente<br />

- antologizzato e storicizzato dal critico d’arte Barbara Tosi<br />

nel volume “Carte da Parato - Wall papers” (che è stato edito,<br />

nel 1985, dalla EDI.SAL di Salerno, nella collana “Strumenti”<br />

diretta da Massimo Bignardi). Esso coincide – per l’appunto<br />

questo intenso ciclo pittorico - con il primo viaggio dell’artista<br />

negli Stati Uniti d’America, a New York. Ricordo quando una<br />

sera d’inverno, del 1986, comunicò (a me e a pochi altri amici,<br />

nei locali del Seminario Pontificio di Potenza che fungeva da<br />

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