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decanter 2, giugno 2006

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a c c o n t o<br />

sorta di paragoni tra la giovinezza magra e desolante che era<br />

toccata vivere a lui, e quella dorata e abbondante al confronto<br />

che aveva saputo offrire al figlio. Avrebbe girato intorno ad<br />

argomenti di questo tipo a mo’ di preambolo, per temporeggiare,<br />

e quando avrebbe ritenuto il campo arato a dovere e<br />

pronto a ricevere il seme, sarebbe piombato dall’alto come<br />

un angelo vendicatore e avrebbe calato l’asso: la «solidità economica».<br />

A questo punto, prima che proseguisse nell’arringa<br />

e l’accusasse di essere in tutto e per tutto un mantenuto, un<br />

peso che erano costretti a sobbarcarsi a turno «quella cara<br />

ragazza di Chiara» e loro, vale a dire i suoi genitori, che non<br />

erano presumibilmente eterni, nel momento preciso in cui<br />

avrebbe udito il padre pronunciare con la tracotanza delle<br />

grandi occasioni la parola «mantenuto», Fabrizio si vedeva distintamente<br />

scostare con un gesto studiato la sedia dal tavolo,<br />

allontanarsi come un attore consumato che esce di scena per<br />

chiamare l’applauso, recuperare l’assegno dalla giacca appesa<br />

all’ingresso, e spiattellarglielo spavaldo sul ghigno come una<br />

torta ricoperta di panna.<br />

Fu lo schiamazzo proveniente da un gruppetto di nuovi arrivati,<br />

quattro pischelli in canotta slabbrata e pantaloncini a<br />

lambire il ginocchio, che lo sottrasse di forza, con una certa<br />

violenza, alla dolcezza delle sue trionfalistiche premonizioni.<br />

Il treno scattò in avanti, e Fabrizio, con un occhio rivolto ai<br />

movimenti della combriccola, augurandosi che si tenessero a<br />

distanza, riposizionò la rivista sul finestrino.<br />

Desiderava non essere disturbato, e quando il più alto dei<br />

quattro, con un pallone da basket che gli brillava tra le mani<br />

come uno scettro e gli conferiva un’aura d’indiscussa autorità<br />

sugli altri si fiondò verso un quadrato di sedili liberi dall’altra<br />

parte del vagone, gliene fu sinceramente grato. Sbuffò di<br />

sollievo, a labbra socchiuse, ma non appena aveva cominciato<br />

ad assaporarlo, l’incanto solo pregustato di beata solitudine<br />

si infranse come una sottile lastra di cristallo sotto l’incedere<br />

pesante e sgraziato di due teste, una nero carboncino e l’altra<br />

bionda platinata, avvolte in una nuvola di chiacchiericcio<br />

fitto come un temporale. Si sedettero l’una di fronte all’altra:<br />

la bionda – in jeans a vita bassa e mogliettina attillata bianca<br />

– accanto a Fabrizio, e la mora – in tuta da ginnastica grigia e<br />

la pettinatura scarmigliata come un nido di rondine – in quello<br />

che fino a qualche minuto prima era stato il posto di Suor<br />

Sofferenza.<br />

Era la sportiva la più loquace.<br />

Fabrizio le osservò entrambe, e ne ricavò netta la sensazione<br />

che quel cicaleccio non si sarebbe smorzato in tempi<br />

brevi. Si guardò allora intorno, per verificare la disponibilità<br />

di un’alternativa, ma lungo il tragitto il numero dei passeggeri<br />

era andato costantemente aumentando, e dovunque avesse<br />

deciso di spostarsi, si sarebbe ritrovato nella medesima, incresciosa<br />

condizione di fiati e gomiti incrociati e ravvicinati, per<br />

cui accantonò rapidamente l’idea, inclinò la testa a toccare il<br />

finestrino, e chiuse placidamente gli occhi.<br />

Un’immagine di Chiara in versione intima, domestica, con<br />

gli occhialetti verdi invece che le lentine, e seria come in una<br />

fototessera per documenti, gli attraversò la mente. Si raffigu-<br />

54<br />

rò l’espressione d’incredulità che avrebbe assunto – labbra<br />

protese a circolo e ciglia svolazzanti – nel momento in cui le<br />

avrebbe mostrato l’assegno, e dovette forzarsi non poco per<br />

imbrigliare un sorrisino compiaciuto che prometteva di esplodergli<br />

in viso da un momento all’altro, e che chissà come sarebbe<br />

stato interpretato dalla sportiva scarmigliata, a cui non<br />

sarebbe in alcun modo potuto sfuggire.<br />

Che donna monumentale che era Chiara, sfaccettata come<br />

un corallo: disinvolta, allegra, spregiudicata, ma anche estremamente<br />

paziente, nonché pratica ed affidabile.<br />

Poteva considerarsi fortunato ad averla incontrata.<br />

Certo, quando la sera si allungava sul divano come una<br />

matrona su un canapè, occupandolo del tutto, se lo poteva<br />

scordare Fabrizio di volteggiarle intorno come una farfalla sulla<br />

corolla di un fiore. In questo Chiara era inamovibile: non<br />

rincasava per ascoltare lagne o rimostranze, soprattutto se<br />

invischiate in maniera più o meno diretta con asfissianti e appiccicose<br />

questioni di lavoro. Per la gran parte del giorno era<br />

assediata da colleghi arrivisti e litigiosi e capi pretenziosi che<br />

faceva fatica a tenere a bada, per cui quando la sera si chiudeva<br />

alle spalle il portone di casa, non prendeva minimamente<br />

in considerazione l’ipotesi che qualcuno potesse seguitare ad<br />

affliggerla con seccature del genere. Perciò, se per una semplice<br />

disattenzione o per recar sollievo a un’urgenza divenuta<br />

frattanto insostenibile, Fabrizio osava accennare soltanto alla<br />

signora Belli o a qualche altro prurito connesso con l’Agenzia,<br />

lo sguardo di Chiara diventava fosco e limaccioso come il<br />

fondo di un abisso, le guance le si imporporavano nonostante<br />

lo strato spesso di fondotinta, e il viso le si rattrappiva in una<br />

smorfia di sdegno che gli impediva di insistere e proseguire.<br />

Per il resto, però, per tutto il resto, non avrebbe saputo<br />

indicare in lei alcun altro difetto. Si concedeva senza riserve<br />

– e già questo, a ben vedere, potrebbe bastare, in quanto<br />

la generosità è una prerogativa ancor più rara della gemma<br />

più preziosa -, ma aveva soprattutto il merito – straordinario<br />

senz’ombra di dubbio – di non vantarsene mai, neppure quando<br />

avrebbe largamente potuto.<br />

La casa in cui vivevano apparteneva a lei, il bigliettone da<br />

cinquanta che Fabrizio aveva in tasca, spianato come una bandiera<br />

nel portafoglio, gliel’aveva lasciato lei la mattina sul frigorifero<br />

prima di andare via: la relativa tranquillità di cui godevano<br />

derivava quasi per intero dall’applicazione e dagli sforzi di<br />

Chiara, eppure Fabrizio non poteva menzionare nessun episodio<br />

in cui lei gliel’avesse, anche solo velatamente, rinfacciato.<br />

L’esatto contrario del padre, che invece prima lo esortava<br />

a allungare la mano e chiedere, con il pretesto che il genitore<br />

rimaneva pur sempre lui, e che fin quando avrebbe potuto<br />

aiutarlo, l’avrebbe fatto volentieri, ma che poi, una volta elargito<br />

il contributo, non appena ne scorgeva il pretesto, intonava<br />

salmi struggenti e strazianti che avrebbero lacerato i timpani<br />

di qualsiasi orecchio.<br />

La bionda platinata che gli si era seduta accanto odorava di<br />

shampoo e acqua di colonia. Ascoltava l’amica con un sopracciglio<br />

alzato e le dita intente a tormentare un anello con una<br />

pietra bruna grossa come un uovo.

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