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Raccolta Sentenze

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GODIMENTO ESCLUSIVO DI BENE COMUNE NON BASTA PER USUCAPIRE<br />

CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N.17642/2009<br />

La Corte di Cassazione ha stabilito che nei casi in cui sussiste una situazione di compossesso su un bene,<br />

la parte che intende chiederne l'usucapione deve dimostrare non solo di avere avuto un godimento esclusivo<br />

di detto bene ma anche che tale godimento sia stato esercitato attraverso una attività "apertamente<br />

contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui" e che pertanto il suo godimento del<br />

bene non sia la conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore. Non<br />

sufficiente in ogni caso per usucapire il solo fatto di aver compiuto atti di gestione consentiti al singolo<br />

partecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri.<br />

PERMESSO DI COSTRUIRE PER MURO DI RECINZIONE<br />

CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N.20131/2009<br />

Con la Sentenza in esame la Corte di Cassazione fornisce un<br />

utile chiarimento sulla disciplina del permesso di costruire e sugli<br />

interventi assoggettati al rilascio del titolo abilitativo medesimo. In<br />

particolare la Corte, riprendendo quanto stabilito dalla Sentenza<br />

4755/2008, argomenta che necessita del rilascio preventivo del<br />

permesso di costruire anche la realizzazione di un muro di<br />

recinzione allorquando, avuto riguardo alla struttura e<br />

all'estensione dell'area relativa, questo sia tale da modificare<br />

l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli<br />

interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lettera e)<br />

del DPR 380/2001.<br />

NO ALLA DUPLICAZIONE DELLE VOCI DI DANNO DA DEQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE CON<br />

LA STESSA FONTE CAUSALE<br />

CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N. 20980/2009<br />

Il danno alla professionalità, poiché danno conseguenza e non danno evento, non è suscettibile di<br />

valutazione in re ipsa e deve essere provato da parte del lavoratore. Poiché tale danno sussista è<br />

necessario, infatti, che si produca una lesione aggiuntiva ed autonoma, con riflessi sulle aspettative di<br />

progressione professionale, sulle abitudini di vita del lavoratore e sulle relazioni da lui intrattenute<br />

sostanziandosi in un’effettiva lesione della dignità personale del lavoratore. Proprio a causa delle molteplici<br />

forme che può assumere il danno da dequalificazione, si rende indispensabile una specifica allegazione da<br />

parte del lavoratore, che deve precisare quali di essi ritenga in concreto di aver subito, fornendo tutti gli<br />

elementi e le peculiarità della situazione di fatto. Non è quindi sufficiente prospettare l’esistenza della<br />

dequalificazione e chiedere genericamente il risarcimento del danno, non potendo il Giudice prescindere<br />

dalla natura del pregiudizio lamentato e valendo il principio generale per cui il Giudice non può mai sopperire<br />

all’onere di allegazione che concerne sia l’oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa<br />

trova supporto. Questa pronuncia sottolinea l’inammissibilità di una duplicazione delle voci di danno rispetto<br />

alla stessa fonte causale attraverso diverse etichettature delle pretese risarcitorie. La Sez. lav. ribadisce<br />

dunque l’orientamento espresso dalle Sez. Unite secondo cui le diverse categorie elaborate dalla dottrina e<br />

giurisprudenza (danno biologico, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale….ecc)<br />

costituiscono una mera sintesi descrittiva dell’unica categoria concettuale esistente, quella cioè del danno<br />

non patrimoniale, il cui doveroso integrale risarcimento impone di tener conto, nella quantificazione, di<br />

ciascun pregiudizio (integrità psico-fisica, dignità della persona….ecc) ma senza duplicazioni.<br />

NOTAIO RESPONSABILE VERSO IL TERZO SOLO SE HA UNA PERDITA DIRETTA<br />

CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N. 22800/2009<br />

La sentenza si inserisce nell’orientamento ormai consolidato della natura contrattuale della responsabilità del<br />

notaio nei confronti dei propri clienti per l’esercizio dell’attività professionale da lui svolta. Nel caso di specie<br />

il notaio aveva trasferito il sottotetto di un appartamento ed i nuovi proprietari avevano abbattuto il tetto<br />

sovrastante la loro proprietà, di cui erano titolari due signore estranee all’atto di trasferimento. Il giudice di<br />

primo grado, su richiesta delle proprietarie del tetto, aveva dichiarato l’illegittimità dell’abbattimento ed<br />

ordinato il ripristino della situazione “quo ante” con condanna dei proprietari al pagamento delle spese<br />

necessarie per i lavori e del notaio, chiamato in causa dai propri clienti, per non aver rilevato l’altruità della<br />

titolarità del tetto. Nelle more del giudizio di secondo grado le proprietarie avevano venduto il proprio tetto ai<br />

titolari dell’appartamento, facendo così venir meno la materia del contendere ed il conseguente obbligo<br />

risarcitorio a carico del notaio, a carico del quale venivano comunque poste parte delle spese dei giudizi di<br />

primo e secondo grado. La Cassazione, nel rigettare i ricorsi delle originarie proprietarie del tetto e dei<br />

proprietari del sottotetto in ordine alla suddivisione delle spese tra le parti in causa, prende atto della corretta

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