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Raccolta Sentenze

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motivazione, in cui era stato richiamato solo l'articolo 322-ter codice penale. Per la difesa dei coniugi, quindi,<br />

sembrava evidente la contraddittorietà e la mancanza di motivazione. In ogni caso, qualora si fosse ritenuto<br />

applicabile il Dl 306/1992, articolo 12-sexies, il provvedimento sarebbe stato privo di motivazione, in quanto il<br />

Gip non aveva indicato alcuna ragione sulla base della quale ritenere le somme di danaro, depositate sul<br />

conto corrente bancario intestato alla sola moglie, nella disponibilità dell'imputato. In proposito - ribadivano i<br />

difensori - non opererebbe alcuna presunzione, trattandosi di beni formalmente intestati a terzi. Nessun<br />

problema per il denaro depositato sui conti correnti cointestati all'imprenditore e alla moglie, spiega la<br />

Suprema corte. La mera contestazione non può, in mancanza di una prova che dimostri la reale consistenza<br />

degli incrementi di propria pertinenza, accreditare la presunzione che le somme in deposito siano spettanti a<br />

ciascuno dei cointestatari in parti uguali. Nel caso esaminato, essendo il cointestatario la moglie convivente<br />

dell'imputato, era evidente che il marito ne avesse comunque la disponibilità piena (si vedano in tal senso le<br />

sentenze della Cassazione, sezione 6, n. 40175 del 14 marzo 2007 e n. 24633 del 29 marzo 2006).<br />

Corretta e logica - e non sindacabile in sede di legittimità, anche a fronte delle generiche e apodittiche<br />

affermazioni a sostegno del ricorso sul punto - appare, poi, la decisione del Gip di convalidare il sequestro,<br />

dato che l'imputato aveva sicuramente anche la disponibilità del denaro depositato sul conto corrente<br />

intestato alla moglie con lui convivente.<br />

SOGGETTO AD IRAP IL PROFESSIONISTA CHE SI AVVALGA ANCHE DI UN SOLO<br />

COLLABORATORE<br />

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. V TRIBUTARIA, SENTENZA N. 29146 DEL 11 DICEMBRE 2008<br />

Secondo consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, a norma del combinato disposto degli artt.<br />

2, comma II, primo periodo, e 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio delle<br />

attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986 è escluso dall’applicazione<br />

dell’IRAP solo quale si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della “autonoma<br />

organizzazione” (il cui accertamento spetta al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se<br />

congruamente motivato) ricorre quando il contribuente:<br />

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture<br />

organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;<br />

b) impieghi beni strumentali eccedenti secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per<br />

l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro<br />

altrui (ex plurimis, cfr. Cass. nn. 3673, 3676, 3678, 3680 e 5011 del 2007). Sulla scorta di tali premesse la<br />

Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito su ricorso dell’agenzia delle Entrate, essendo stata negata<br />

la sussistenza di struttura organizzativa – requisito necessario ai fini impositivi – a fronte dell’accertamento<br />

del fatto che il professionista si avvaleva di un collaboratore.<br />

AGEVOLAZIONI FISCALI “PRIMA CASA”: RILEVA LA RESIDENZA FAMILIARE E NON QUELLA DEL<br />

SINGOLO CONIUGE<br />

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V TRIBUTARIA, SENTENZA N. 2109/2009<br />

Così come già affermato più volte dalla Suprema Corte in tema di benefici fiscali relativi all’acquisto della<br />

“prima casa”, nel caso di acquisto di un fabbricato o di un appartamento ad uso abitativo da parte di uno dei<br />

coniugi in regime di comunione legale, l’altro coniuge ne diviene comproprietario per volere di legge, ex art.<br />

177 c.c., con diritto a fruire delle agevolazioni fiscali eventualmente contemplate in relazione all’acquisto<br />

della cosiddetta prima casa, anche se personalmente sprovvisto dei requisiti di legge, sussistenti solo in<br />

capo al coniuge acquirente (cfr. Cass. civ. 14237/2000). In particolare nel caso di specie, relativo<br />

all’applicazione del beneficio previsto dall’art. 2 del D.L. n. 12/1985 - che prevedeva l’applicazione<br />

dell’imposta di registro nella misura ridotta pari al 2% del valore dell’immobile per le compravendite effettuate<br />

fino al 31 dicembre 1985, termine successivamente prorogato - è stato richiesto alla S.C. se il requisito della<br />

residenza nel comune di ubicazione dell’immobile sia soddisfatto dalla circostanza che l’immobile risulti<br />

adibito ad abitazione familiare, ancorché uno dei coniugi non abbia la residenza in detto comune. A tal<br />

proposito è stato osservato come i coniugi non siano tenuti ad una comune residenza anagrafica bensì alla<br />

coabitazione (art. 143 c.c.) quindi una interpretazione della legge tributaria (che del resto parla di residenza<br />

e non di residenza anagrafica) che sia conforme ai principi del diritto di famiglia porta a considerare la<br />

coabitazione con il coniuge acquirente come elemento idoneo a soddisfare il requisito della residenza ai fini<br />

tributari. Considerata altresì l’ampia tutela accordata dalla Costituzione alla famiglia – quale soggetto<br />

autonomo rispetto ai coniugi – anche la norma tributaria va letta ed applicata privilegiando gli interessi della<br />

famiglia, ragion per cui ai fini della concessione dei benefici fiscali vanno presi in considerazione i requisiti<br />

sussistenti in capo all’entità famiglia e non ai singoli coniugi. In conclusione è stato affermato che il requisito<br />

della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in<br />

caso di comunione legale tra i coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza<br />

familiare

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