Scienze dell'Interazione anno 2012 n.1-2 - Scuola di ...
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STUDI, RICERCHE E DIBATTITI Alessandro Salvini<br />
proce<strong>di</strong>menti della psichiatria descrittivo-categoriale e delle psicologie<br />
tipologico-<strong>di</strong>sposizionali e dei tratti <strong>di</strong> personalità.<br />
1. Premessa: la generalizzazione patofilica<br />
Prendendo spunto dal problema della ‘vigoressia’, in questo lavoro si coglie<br />
anche l’occasione per una riflessione sul sistema <strong>di</strong> pensiero che ruota<br />
intorno al concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi e al suo contesto giustificativo. La proposta<br />
mutevole e crescente <strong>di</strong> nuove categorie <strong>di</strong>agnostiche, sia sotto il profilo<br />
psicopatologico che nosografico, rimane un problema aperto che aumenta,<br />
invece <strong>di</strong> ridurre, le critiche e il <strong>di</strong>ssenso <strong>di</strong> molti clinici e ricercatori.<br />
Sopratutto nei confronti delle confusioni scientifico-concettuali che<br />
con<strong>di</strong>zionano poi sul piano operativo le scienze cliniche della psiche.<br />
Spesso questi saperi d<strong>anno</strong> per scontato che certi mo<strong>di</strong> problematici <strong>di</strong><br />
agire e <strong>di</strong> essere siano configurabili <strong>di</strong> fatto come ‘malattie’ anche quando<br />
non lo sono, <strong>di</strong>ventando tali in relazione alle professioni e ai linguaggi<br />
chiamati ad occuparsene. Per spiegare questa crescente tendenza alla<br />
‘generalizzazione patofilica’ si potrebbero chiamare in causa varie ragioni,<br />
da quelle epistemologiche e cognitive ai con<strong>di</strong>zionamenti ideologicoistituzionali,<br />
non trascurando il peso delle identità e appartenenze<br />
professionali. Tuttavia la scelta <strong>di</strong> pensare come ‘malattie’ taluni mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
agire e <strong>di</strong> essere appare giustificata per tutti quei casi in cui un meccanismo<br />
biologico perturba i processi che chiamiamo mentali e viceversa. Per altri<br />
casi invece il concetto <strong>di</strong> patologia psichica, sembra molto sovrastimato<br />
come criterio interpretativo e conoscitivo, e inadeguato quando usato in<br />
modo analogico e convenzionale. Con il risultato <strong>di</strong> acquistare un significato<br />
letterale che lo rende equivalente al concetto <strong>di</strong> malattia fisica.<br />
Inoltre se si continua ad estendere il concetto <strong>di</strong> patologia - e tutti gli altri<br />
termini correlati, tra cui <strong>di</strong>agnosi, paziente e terapia - oltre l’ ambito <strong>di</strong><br />
pertinenza me<strong>di</strong>co-biologica, si finisce per patologizzare e me<strong>di</strong>calizzare<br />
un’ampia classe <strong>di</strong> comportamenti umani e stati psicologici particolari.<br />
Questi comportamenti e stati psicologici se pensati come ‘malati’ generano,<br />
- nella loro valutazione, descrizione e spiegazione - teorie e pratiche<br />
operative complementari e autoconfermative. Ad esempio inducendo a<br />
presumere che le con<strong>di</strong>zioni della ‘malattia’ siano attribuibili ad ipotetiche<br />
caratteristiche mentali, la cui esistenza e natura è poi identificata con i<br />
termini usati per descriverle e giu<strong>di</strong>carle. Con il risultato che la pratica<br />
clinica e istituzionale trasforma e co<strong>di</strong>fica questi ‘costrutti’ attributivi e<br />
convenzionali in entità oggettive e reali.<br />
Come è noto non è possibile mescolare tra <strong>di</strong> loro gli enti che<br />
appartengono a domini logici <strong>di</strong>fferenti. Ad esempio, connettere biologia e<br />
giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> valore, trasformare le interpretazioni in spiegazioni <strong>di</strong> causa; o<br />
tradurre in tratti <strong>di</strong> personalità gli aggettivi con cui si giu<strong>di</strong>cano i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
agire ed essere delle persone. Quin<strong>di</strong> le scienze della psiche dovrebbero<br />
usare molta prudenza nel classificare come patologici, e attribuirli a qualche<br />
caratteristica intrapsichica o <strong>di</strong> personalità, quei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fare e <strong>di</strong> essere,<br />
che sono ritagliati da un giu<strong>di</strong>zio normativo eletto a criterio scientifico.<br />
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