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L'aquila d'Europa - La Libera Compagnia Padana

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netario Internazionale (FMI), organismi a scala<br />

mondiale in grado di controllare i flussi finanziari<br />

internazionali che riguardano le più importanti<br />

decisioni economiche del pianeta.<br />

A proposito del funzionamento di queste due<br />

ultime istituzioni, la sociologa Susan George,<br />

codirettrice del Transnational Institute di Amsterdam<br />

osserva: “<strong>La</strong> Banca Mondiale determina<br />

non solo le scelte macroeconomiche, essa<br />

pone anche altre condizioni, classificate sotto il<br />

nome di ‘buon governo’ … che sono state causa<br />

di contraddizioni ... Alcuni suoi progetti<br />

hanno dato luogo a violazioni massicce dei diritti<br />

umani, provocando l’esodo di milioni di<br />

persone ... <strong>La</strong> Banca stabilisce le proprie leggi<br />

senza essere stata legittimata da cinquant’anni<br />

e, per ragioni complesse, le sue istanze dirigenti<br />

non possono avere soddisfacenti meccanismi<br />

di controllo”.<br />

“Il FMI tende, tramite le condizioni che pone<br />

per la concessione dei prestiti ai Paesi in difficoltà,<br />

a privare gli Stati del controllo della loro<br />

economia. Questo organismo non cerca di adeguarsi<br />

alle realtà di ciascun caso concreto ma<br />

cerca di imporre ai paesi le proprie norme economiche.<br />

L’obiettivo sarà raggiunto nella misura<br />

in cui le particolarità saranno distrutte. Con<br />

la normalizzazione economica verrà la normalizzazione<br />

culturale e la uniformizzazione dei<br />

modi di vita”.<br />

E ancora: “L’analisi dimostra che il ricorso<br />

indiscriminato al prestito smobilizza l’economia<br />

di un Paese, scoraggia il risparmio nazionale,<br />

rallenta la crescita della produttività interna,<br />

riduce la padronanza della catena tecnologica,<br />

orienta l’apparato produttivo verso i bisogni<br />

di una economia internazionale decentrata<br />

e drena a termine le risorse del Paese verso<br />

le potenze industriali. A ciò si aggiunge l’alienazione<br />

culturale prodotta dall’introduzione<br />

non meditata di un modello culturale straniero,<br />

lo sconvolgimento della struttura sociale, in<br />

particolare l’esodo rurale e la perdita progressiva<br />

dell’autonomia politica”.<br />

TESI 2. LA GLOBALIZZAZIONE FAVORISCE LE AUTONO-<br />

MIE - Secondo questa scuola, il mondialismo,<br />

inteso come programma mirante all’instaurazione<br />

di un governo unico planetario, massima<br />

concentrazione immaginabile di potere e quindi<br />

minaccia per la libertà dei popoli, è un fenomeno<br />

addirittura opposto alla potente forza decentralizzatrice<br />

costituita dalla liberalizzazione su<br />

scala mondiale dei mercati i quali, essendo in-<br />

siemi di rapporti volontari dai quali è bandito<br />

l’uso della forza, non possono causare quello<br />

sradicamento delle varie culture che è invece<br />

operato dalla centralizzazione statale, strumento<br />

con cui le culture egemoni hanno sempre<br />

schiacciato quelle minoritarie.<br />

Proprio la novità tecnologica costituita dalla<br />

diffusione della rete, con le sue conseguenze<br />

economiche e culturali, ha dato inizio al declino<br />

del rigido controllo che gli stati centralizzati<br />

hanno sempre esercitato sulle popolazioni stanziate<br />

entro i propri confini. Molti popoli ora avvertono<br />

lo stato nazionale, cui più o meno forzatamente<br />

appartengono, come un ingombro,<br />

perché sanno di essere inseriti in una rete di<br />

scambi globali di fronte alla quale le burocrazie<br />

accentratrici mostrano, insieme al loro costo,<br />

tutta la loro arroganza e inutilità.<br />

Friedrich Von Hayek, premio Nobel per l’Economia<br />

del 1974, sostiene la necessità di globalizzare<br />

i mercati, mentre si dichiara contrario a<br />

qualsiasi tipo di governo mondiale: “Un governo<br />

mondiale anche molto buono - scrive - sarebbe<br />

comunque una calamità, perchè precluderebbe<br />

la possibilità di sperimentare strumenti alternativi”.<br />

Dunque, per Hayek, la liberalizzazione<br />

degli scambi non porta né deve portare all’omologazione<br />

politica.<br />

<strong>La</strong> studioso liberista Hans-Hermann Hoppe,<br />

in un suo recente saggio scrive: “L’integrazione<br />

politica comporta maggior potere per uno Stato<br />

di imporre tasse e regolare la proprietà mentre<br />

l’integrazione economica rappresenta un’estensione<br />

della divisione interpersonale e interregionale<br />

della partecipazione al lavoro. Come<br />

può dunque - si domanda - la liberalizzazione<br />

degli scambi comportare un aumento della<br />

centralizzazione, considerando che in linea di<br />

principio tutti i governi riducono la partecipazione<br />

al mercato e la formazione della ricchezza<br />

economica?”<br />

Sempre secondo Hoppe, “… nel confronto tra<br />

integrazione forzata e separazione volontaria,<br />

ci sono ragioni a favore della seconda …”. I<br />

piccoli paesi sono naturalmente portati a scegliere<br />

il libero mercato anziché un’economia<br />

statalizzata e inoltre la compresenza di tanti diversi<br />

stati sul territorio di un vecchio stato-nazione<br />

li pone in naturale concorrenza poiché i<br />

loro governi, “per evitare di perdere la parte più<br />

produttiva della popolazione, sono spinti ad<br />

adottare politiche interne più liberali”. Finalmente,<br />

poiché “adottando un regime di libero<br />

scambio illimitato, persino il più piccolo dei<br />

Anno Vl, N. 31 - Settembre-Ottobre 2000 Quaderni Padani - 9

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