Lo storico francese Jacques Droz in un intervento nel 1963 al XLI Congresso di Storia del Risorgimento Italiano esprimeva un giudizio altrettanto positivo sulla missione storica dell’Impero asburgico: «<strong>La</strong> monarchia austro-ungarica assolveva nel 1914 un compito incontestabile e non era affatto quel “carcere dei popoli” come spesso è stata definita. Ci si può chiedere se gli Stati che si formarono dal suo smembramento si siano dimostrati più capaci di lei di risolvere i problemi nazionali. L’idea nazionale. molto rispettabile in sé, è poi troppo spesso diventata strumento di oppressione. Forse la saggezza avrebbe richiesto che le aspirazioni nazionali avessero cercato di svilupparsi nel seno di uno Stato plurinazionale» ( 12 ). Una terza autorevole opinione, tra le molte che si potrebbero citare, sull’insostituibile ruolo dell’Impero nell’Europa danubiano-balcanica è quella di uno dei più importanti diplomatici e studiosi della diplomazia, largamente noto come il teorico del containment, la strategia di resistenza all’espansionismo sovietico, l’americano George Kennan per il quale «L’Impero austro-ungarico appare tuttora come soluzione degli intricati problemi di quella parte del mondo, migliore di tutto ciò che gli è subentrato» ( 13 ). L’Impero asburgico si reggeva su alcuni pilastri la cui saldezza era intaccata da forze centrifughe, in opposizione alle quali si manifestavano però anche forze centripete, come ben sottolinea nella sua opera François Fejtó´. Lo storico britannico Alan Sked scrive che la fine della monarchia non era affatto scontata, anzi essa si andava rafforzando ( 14 ), mentre Victor-Lucien Tapié osserva che da diversi punti di vista «si poteva persino ritenere l’Austria-Ungheria una potenza del futuro» ( 15 ) ed anche C. A. Macartney parla di «molti elementi [che] inducevano all’ottimismo», all’inizio del secolo, sul domani dell’Impero ( 16 ). Il primo pilastro era evidentemen- ( 12 ) Cit. in V.-L. Tapié, Monarchia e popoli del Danubio, Torino 1993, pagg. 6-7. ( 13 ) G. Kennan, The Decline of Bismarck’s European Order. Franco-Russian Relations, 1875-1890, Princeton 1979, pag. 423. ( 14 ) Cfr. A. Sked, Grandezza e caduta dell’Impero asburgico 1815-1918, Roma-Bari 1993, pagg. 236 ÷ 239. ( 15 ) Op. cit., pag. 420. ( 16 ) C. A. Macartney, L’Impero degli Asburgo 1790-1918, Milano 1981, pagg. 870 ss. ( 17 ) Sui benefici economici che l’Impero arrecava a tutte le sue parti cfr. D. F. Good, The economic Rise of the Habsburg Empire, 1750-1914, Berkeley-Los Angeles 1984. Sul- te la monarchia, la lealtà nei confronti della quale «era ben lungi dall’essere una semplice espressione retorica» e rimase in particolare «intatta» fino alla morte del leggendario Imperatore. Un altro elemento di coesione era la religione cattolica, che riuniva intorno all’Imperatore austro-tedeschi, slovacchi, sloveni, croati, polacchi e la maggioranza dei cechi e degli ungheresi. Ma anche le altre confessioni cristiane, i cui alti dignitari sedevano anch’essi, in quanto tali, nelle assemblee parlamentari, svolgevano un analogo ruolo politico. Un altro pilastro fondamentale era costituito dall’Esercito Imperialregio, «vero e proprio crogiolo» delle popolazioni di tutte le parti dell’Impero, e dalla Marina. E ancora «l’amministrazione, efficiente e non corrotta, e la burocrazia, imponente» e «la comunanza di interessi che univa i diversi popoli nella vita politica come in quella economica» ( 17 ). Tutte le nazionalità potevano contare sulla «protezione della legge e avevano totale libertà di coscienza e di culto» e godevano «di libertà molto più grandi di quelle dei loro fratelli di razza che vivevano al di fuori delle frontiere dell’Impero»: questi i caratteri della Felix Austria ( 18 ). Un giudizio, l’ultimo ricordato, che troverà piena conferma nel dopoguerra, quando «le nazioni di cui i vincitori proclamarono la “rinascita” si dimostrarono, per molti aspetti, creazioni “letterarie” più che politiche e soprattutto piccoli imperi multinazionali, assai meno liberali e tolleranti dell’impero “distrutto” di cui avevano fatto parte» ( 19 ). All’Austria-Ungheria succedettero infatti pretesi Stati nazionali che in realtà erano altrettanto multinazionali dell’Impero scomparso, con l’aggravante che rifiutavano di riconoscerlo e l’etnia dominante opprimeva le minoranze. <strong>La</strong> composizione etnica e religiosa di tali Stati risulta dalle tabelle seguenti ( 20 ): la forza della monarchia, cfr. Tapié, op. cit., pagg. 385-386, 476-77. ( 18 ) Cfr. H. Bogdan, Storia dei paesi dell’est, Torino 1994, pp. 150-55, dal quale sono tratte le citazioni. Secondo Sked, anche gli 800mila italiani «erano in effetti una nazionalità favorita piuttosto che oppressa, nel senso che (specie dopo il 1907) avevano rispetto al numero più rappresentanti di ogni altro gruppo nazionale» (op. cit., pag. 229), affermazione che dedichiamo a qualche tardivo ammiratore di Guglielmo Oberdan, che era poi lo sloveno Wilhelm Oberdank. ( 19 ) Il giudizio è dell’Ambasciatore Sergio Romano, Introduzione a Fejtó´, op. cit., pag. XV. ( 20 ) Tratte da Bogdan, op. cit., pagg. 227 ÷ 231. 32 - Quaderni Padani Anno Vl, N. 31 - Settembre-Ottobre 2000
Cecoslovacchia Polonia Regno dei Serbi-Croati-Sloveni (dal 1929 Regno di Jugoslavia) A questi dati eloquenti vanno aggiunte alcune considerazioni relative a due Stati, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, creati con i trattati di pace del 1919, due costruzioni artificiali che sono durate pochissimo e si sono dissolte, la prima volta rispettivamente nel 1939 e nel 1941, la seconda, e stavolta non si può accusare nessun Hi- tler ( 21 ), nel 1993 e nel 1991. In entrambi gli Stati le etnie dominanti, Cechi nel primo caso, ( 21 ) Ma, comunque, osserva Bogdan, «sotto molti aspetti, la nuova situazione [del 1941] corrispondeva alle aspirazioni dei popoli molto più dell’antico regno unitario di Jugoslavia» (op. cit., pag. 306). Anno Vl, N. 31 - Settembre-Ottobre 2000 Quaderni Padani - 33
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