L'aquila d'Europa - La Libera Compagnia Padana
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un tale modello economico laddove la complessa<br />
rete di interazioni sociali si riduce a una sciatta<br />
dicotomia produttori-consumatori nell’illusione,<br />
crudele, di una interscambiabilità fra i due status,<br />
in realtà congelati entro un circuito totalitario<br />
perché totalizzante e “perfetto”. E a nulla valgono<br />
le tesi di alcuni (pochi) anarco-capitalisti che postulano<br />
restrizioni all’immigrazione in base a<br />
supposti “diritti di proprietà”. L’immigrazione va<br />
respinta perché sul piano etno-culturale vi sono<br />
profonde incompatibilità fra i vari popoli, tali da<br />
ritenere difficoltosa la ricomposizione a unità (integrazione)<br />
delle naturali e inevitabili conflittualità<br />
interetniche. Il liberismo invece considera i<br />
vincoli etnici, antropologici, culturali e religiosi<br />
di impedimento allo sviluppo capitalistico e ne<br />
pretende il superamento in favore di una struttura<br />
sociale atomizzata e individualistica attorno alla<br />
quale si riorganizzeranno i rapporti sociali su<br />
basi prettamente capitalistiche. Per ottenere ciò è<br />
necessario abbattere le frontiere nazionali e modellare<br />
il mondo secondo i criteri liberisti. Von<br />
Mises al riguardo è chiarissimo: “Non sono assolutamente<br />
l’inferiorità né l’ignoranza a fare la<br />
differenza: la differenza la fanno l’offerta e la<br />
qualità dei capitali disponibili. In altre parole la<br />
quantità di capitali è maggiore nei cosiddetti<br />
Paesi avanzati rispetto a quelli in via di sviluppo.<br />
Si potrebbero redigere degli statuti internazionali,<br />
che non siano solo semplici accordi, che sottraggano<br />
gli investimenti stranieri alla giurisdizione<br />
nazionale. Questo potrebbero farlo le Nazioni<br />
Unite. Per far sì che i Paesi in via di sviluppo<br />
diventino prosperi come gli Stati Uniti manca<br />
una sola cosa: il capitale, e ovviamente la libertà<br />
di poterlo gestire in base alle regole di mercato e<br />
non a quelle imposte dai governi”. <strong>La</strong> drammatica<br />
implicazione che segue il ragionamento di Mises<br />
si è concretizzata in questi anni: la nascita del<br />
mondialismo ha sancito la morte degli Stati nazionali.<br />
Tuttavia invece di procedere a una ridefinizione<br />
degli stessi su basi etno-culturali che facessero<br />
sorgere confederazioni di patrie identitarie,<br />
il mondialismo, grazie al capitalismo, ha edificato<br />
un superstato mondiale che regge le sorti<br />
del pianeta imponendo leggi, provvedimenti e politiche<br />
economiche. Queste ultime rappresentano,<br />
in definitiva, l’ideologizzazione del capitalismo<br />
e la sua imposizione ai vari Paesi, la trasformazione<br />
dei parlamenti nazionali in consigli di<br />
amministrazione, la morte della politica e la sua<br />
sostituzione con manager aziendali che rispondono<br />
non agli elettori ma ai consiglieri di amministrazione<br />
del governo di quel determinato Stato.<br />
Ovviamente il superstato in questione non possiede<br />
un territorio e dei confini, non è riconosciuto<br />
come tale ma esiste ed è incarnato da una<br />
sparuta e potentissima schiera di finanzieri e banchieri<br />
che ricattano, attraverso i capitali immensi<br />
che detengono, nazioni e continenti interi decidendone<br />
le sorti. Il liberismo si è così imbattuto<br />
in due aporie insolubili: la prima consiste nell’aver<br />
espropriato il diritto decisionale e di controllo<br />
dei cittadini per riporlo nelle mani di anonimi<br />
banchieri svincolati dal vaglio elettorale, dimostrando<br />
così la profonda antidemocraticità dell’ideologia<br />
capitalistica e con ciò contraddicendo<br />
l’assioma libertario secondo cui a una sempre più<br />
vasta libertà di mercato corrisponde automaticamente<br />
un analogo ampliamento delle libertà democratiche<br />
e civili. <strong>La</strong> seconda aporia consiste<br />
nell’aver prodotto un superstato centralizzato e<br />
avulso dal potere decisionale degli individui<br />
smentendo così la teoria anarco-capitalista che<br />
postula la soppressione dell’entità statuale attraverso<br />
la radicalizzazione delle politiche capitalistiche.<br />
Un ultimo punto congiunge liberismo e marxismo:<br />
la certezza che il dipanarsi della Storia e dei<br />
suoi eventi segua le medesime dinamiche materialistiche<br />
e quantistiche dei processi economici.<br />
Dice ancora Von Mises: “L’affermazione dell’economia<br />
come un nuovo ramo della conoscenza è<br />
stato uno degli eventi più portentosi della storia<br />
dell’umanità. Nel preparare il terreno per l’impresa<br />
capitalistica privata, essa ha trasformato<br />
in poche generazioni tutte le faccende umane in<br />
maniera più radicale di quanto non sia stato fatto<br />
nei precedenti duemila anni”. Ne scaturisce<br />
quindi una concezione messianica e perfettistica<br />
dell’agire umano che trova il suo corrispondente<br />
nella pretesa scientificità del pensiero marxista,<br />
nell’infallibilità della sua dottrina perché unica<br />
disvelatrice dei reconditi meccanismi storici. Alla<br />
luce di tutto ciò è pertanto impossibile non individuare<br />
una tendenza culturale che si va progressivamente<br />
imponendo nel ventunesimo secolo. Il<br />
liberismo si appresta, da efficace dottrina economica,<br />
a divenire un sistema politico-ideale che<br />
informa la società sottoponendola ai propri meccanismi<br />
ripercorrendo, di fatto, la strada che ha<br />
intrapreso il marxismo nel secolo precedente.<br />
Non si tratta qui certo di rifiutare il libero mercato<br />
in sé o di rivalutare il marxismo: si tratta di<br />
contrastare l’ideologia del libero mercato impedendo<br />
che il mondialismo divenga per il liberismo<br />
quello che il comunismo era stato per il<br />
marxismo.<br />
Anno Vl, N. 31 - Settembre-Ottobre 2000 Quaderni Padani - 19