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QUaliTÀ - Pavoniani

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“II volto mi si impone senza che io possa essere sordo al suo appello<br />

né dimenticarlo, cioè senza che io possa smettere di essere ritenuto<br />

re sponsabile della sua miseria. La coscienza non ha più il primo<br />

posto. La presenza del volto significa così un ordine incontestabile”<br />

(Lévinas, 1993, p. 35 s.).<br />

Il venirmi incontro dell’altro nella nudità del suo volto mi impone<br />

responsabilità. Interpretata alla luce di questo concetto, la<br />

direzio nalità etica delle pratiche di cura sembrerebbe quella del<br />

“dover essere” rispetto a un obbligo che mi si impone prima di<br />

ogni li bertà. È questo un modo di concepire l’etica che fa dipendere<br />

l’a gire bene dal rispondere a un dovere che non si può non subire.<br />

È indicativo a questo proposito il linguaggio usato: l’io che viene<br />

espropriato, l’altro che comanda, l’etica come intimazione a rispondere.<br />

L’etica di Lévinas è dunque esigente, perché chiede di esperi re<br />

quella ossessione dell’altro e per l’altro che fa sentire responsa bili<br />

di tutto quello che può accadergli, al punto da «essere respon sabili<br />

della responsabilità di altri», chiedendo di «rispondere di tut to e<br />

di tutti». Nell’io spossessato, che è una delle figure ontologiche di<br />

Lévinas, la debolezza si mescola al persistere di un’immagine a suo<br />

modo onnipotente del soggetto che risponde di tutto.<br />

Non c’è dubbio sul fatto che le persone impegnate in pratiche<br />

di cura segnate dalla disposizione a prendersi a cuore l’altro siano<br />

te stimoni di un agire etico, se per “etica” s’intende la ricerca<br />

aristo telicamente concepita di ciò che fa ben-esser-ci. Tuttavia esse<br />

agi scono un diverso senso dell’etica rispetto a quella imperativa<br />

del dover essere. Per loro la relazione etica con l’altro è un sentirsi<br />

chia mati ad aver cura, e questa chiamata non revoca la libertà di<br />

deci dere se rispondere o meno. L’appello che si sente provenire<br />

dall’al tro, colui che si trova in uno stato di dipendenza, di debolezza,<br />

non è percepito come un obbligo, perché di fronte a una<br />

situazione di bisogno dell’altro si valuta e poi si decide se e come<br />

agire secondo le proprie possibilità. Stare in una relazione etica<br />

con l’altro non si gnifica piegarsi all’obbligo che ti inchioda alla<br />

responsabilità come condizione da subire, ma è sentire e accettare<br />

la necessità che ti apre spazi dell’ esserci e, dunque, ti apre alla<br />

trascendenza.<br />

Sul donare si è scritto molto a partire dall’Essai sur le don (1923<br />

-24) di Marcel Mauss, che ha evidenziato le potenzialità dei cir-<br />

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