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Emigrazione italiana in Olanda - COMITES-Olanda

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la razionalizzazione, riducendo il numero dei lavoratori. I primi ad essere colpiti dall’ondata dei<br />

licenziamenti furono proprio i lavoratori stranieri. I costi di assunzione per i lavoratori stranieri<br />

furono resi superiori a quelli necessari per i lavoratori locali. Le compagnie m<strong>in</strong>erarie<br />

prevedevano dei corsi di formazione per i lavoratori stranieri che non avevano mai avuto<br />

esperienza <strong>in</strong> m<strong>in</strong>iera, i quali richiedevano ulteriori costi di traduzione nella l<strong>in</strong>gua nativa dei<br />

migranti. Altro svantaggio era costituito dai tempi di assunzione piuttosto lunghi, <strong>in</strong>fatti, dalla<br />

domanda di assunzione all’arrivo dei lavoratori stranieri potevano passare anche due mesi. Per<br />

queste ragioni, soltanto quando l’offerta di manodopera locale era <strong>in</strong>sufficiente, le compagnie<br />

m<strong>in</strong>erarie ricorrevano alla manodopera straniera. Solo dopo la seconda guerra mondiale il<br />

fenomeno della migrazione della forza lavoro <strong>in</strong>teressò di nuovo le m<strong>in</strong>iere del Limburgo, le<br />

quali dal 1949 com<strong>in</strong>ciarono a reclutare nuovamente lavoratori italiani. Dopo la crisi del carbone<br />

del 1958, molti olandesi del Limburgo persero fiducia nelle opportunità di impiego future<br />

garantite dalle m<strong>in</strong>iere. Soprattutto i giovani m<strong>in</strong>atori preferirono essere impiegati <strong>in</strong> altri settori.<br />

Molti di loro si trasferirono <strong>in</strong> Germania dove i salari erano del 35 per cento superiori a quelli<br />

olandesi. La qualità dei lavoratori nelle m<strong>in</strong>iere dim<strong>in</strong>uì a causa della partenza dei più giovani e<br />

dell’<strong>in</strong>vecchiamento della forza lavoro rimasta disponibile. Di fronte a questi problemi le<br />

compagnie m<strong>in</strong>erarie olandesi reclutarono un notevole numero di stranieri tra il 1961 e il 1965.<br />

A dicembre del 1965 il governo olandese annunciò la graduale chiusura delle m<strong>in</strong>iere, che si<br />

concluse nove anni dopo, nel 1974 quando venne spianata l’ultima m<strong>in</strong>iera di carbone 88 .<br />

Soprattutto durante il periodo della ricostruzione nel secondo dopoguerra l’<strong>Olanda</strong> diventò uno<br />

dei paesi più ricchi dell’Europa occidentale. Si è già visto nel precedente paragrafo che dalla<br />

liberalizzazione degli anni ‘50 f<strong>in</strong>o alla crisi petrolifera del 1973 l’<strong>Olanda</strong> attraversò un periodo<br />

di stabile crescita economica. Durante gli anni sessanta l’economia olandese fu quasi<br />

costantemente <strong>in</strong> uno stato di “sovraoccupazione” con un eccesso di offerta di lavoro. La crescita<br />

delle esportazioni dovuta ai bassi salari, e l’aumento degli <strong>in</strong>vestimenti sia pubblici che privati<br />

sulle <strong>in</strong>dustrie, portarono ad una espansione economica che fece parlare di un secondo<br />

“eldorado”, dopo quello del XVII secolo 89 . Gli immigrati che arrivarono <strong>in</strong> questo periodo erano<br />

designati con diversi term<strong>in</strong>i: rimpatriati per quelli che non potevano o non volevano restare<br />

nella nuova Indonesia <strong>in</strong>dipendente; la maggior parte di loro, tuttavia, non era mai stata <strong>in</strong><br />

“patria” prima, o <strong>in</strong> ogni caso non era nata lì. Gli immigrati dal Sur<strong>in</strong>ame e dalle Antille olandesi<br />

(Indie occidentali) erano chiamati “rijksgenoten” (“concittad<strong>in</strong>i” delle parti d’oltremare del<br />

88<br />

cfr. S. Langeweg , L. Roels , Foreign labour <strong>in</strong> the coalm<strong>in</strong>es of Liège and Dutch Limburg <strong>in</strong> the twentieth<br />

century: a comparison, Lisbona 2008.<br />

89<br />

Cfr. J. L. van Zanden, The economic history of the Netherlands, 1914-1995: a small open economy <strong>in</strong> the ‘long’<br />

twentieth, Routledge, London 1998, pp. 134-135.<br />

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