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Emigrazione italiana in Olanda - COMITES-Olanda

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su cui ripiegare probabilmente furono i primi a ritornare, mentre quelli che non avevano nulla <strong>in</strong><br />

Italia furono i più propensi a restare <strong>in</strong> <strong>Olanda</strong>.<br />

2.1.3 L’emigrazione come scelta <strong>in</strong>dividuale e collettiva<br />

Le caratteristiche dell’emigrazione di massa descritte nel primo capitolo rispecchiano <strong>in</strong> molti<br />

aspetti quelle dei gastarbeiders italiani <strong>in</strong> <strong>Olanda</strong>. Già sono state ampiamente argomentate le<br />

ragioni economiche e sociali dell’emigrazione <strong>italiana</strong> nel periodo post-bellico nonostante la<br />

ripresa economica degli anni C<strong>in</strong>quanta. Il desiderio di riscattarsi socialmente ed<br />

economicamente da una condizione di subalternità non era però l’unica ragione che sp<strong>in</strong>geva gli<br />

italiani ad emigrare. La voglia di fare un’esperienza avventurosa e la curiosità di vedere altri<br />

Paesi erano motivazioni altrettanto forti. Tuttavia è importante ribadire il fatto che la maggior<br />

parte dei migranti proveniva da realtà rurali dove i processi di ammodernamento non erano<br />

sufficienti per assorbire tutta la manodopera disponibile nel mercato del lavoro. In queste realtà<br />

dell’Italia meridionale l’emigrazione era la norma un po’ ovunque nella vita quotidiana dei ceti<br />

subalterni poiché lo sradicamento che essa comportava era meno grave della tragicità della<br />

condizione che contad<strong>in</strong>i e operai affrontavano quotidianamente. È bene precisare che per realtà<br />

contad<strong>in</strong>a si <strong>in</strong>tende una realtà rurale dove il lavoro agricolo costituiva l’attività prevalente ma<br />

non esclusiva della popolazione. Accanto ai contad<strong>in</strong>i altre figure di lavoratori come i muratori, i<br />

fabbri, i commercianti, i sarti ecc. costituivano ceti sociali subalterni. Dunque, il term<strong>in</strong>e<br />

“contad<strong>in</strong>i” viene qui utilizzato per designare non necessariamente la condizione lavorativa di<br />

questi migranti quanto più l’<strong>in</strong>sieme delle disposizioni culturali che li caratterizzava. Nelle realtà<br />

rurali l’emigrazione era <strong>in</strong> molti casi l’unica soluzione possibile ad una esistenza precaria. Essa<br />

rappresentava una risposta a livello <strong>in</strong>dividuale, e legittimata da espedienti collettivi, al processo<br />

di espulsione dalla campagne di braccianti, contad<strong>in</strong>i e altre categorie di lavoratori meridionali<br />

per i quali non c’era possibilità di sostentamento sufficiente 118 . Nelle storie di vita analizzate si<br />

leggono motivi comuni e aspirazioni condivise che hanno ripercussioni sulle aspettative<br />

<strong>in</strong>dividuali e familiari:<br />

«Io <strong>in</strong> Italia lavoravo con mio padre. Mio padre era agricoltore, e negli anni ’60 non andava bene,<br />

avevamo delle terre che non erano nostre, pagavamo un affitto, e poi hanno com<strong>in</strong>ciato a fare<br />

rimboscamenti, le terre ce le hanno tolte, e mio padre c’aveva un po’ di terreni ma non bastava<br />

perché mio padre aveva una famiglia grande, eravamo otto figli, c<strong>in</strong>que sorelle e tre fratelli» 119 .<br />

118 Cfr. G. Rosoli, Un secolo di emigrazione <strong>italiana</strong> 1876-1976,centro studi emigrazione, Roma 1978, p. 122.<br />

119 Intervista a F., Utrecht, 1 aprile 2009.<br />

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