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Cortina Inverno

Eccoci arrivati al decimo numero di CORTINA.TOPic. Una bella strada, quella che abbiamo percorso assieme. Con un obiettivo interessante, quello di dar vita — cinque stagioni or sono — a una rivista dalla doppia vocazione: di approfondimento e promozione, capace di immortalare la Cortina che ci piace e di dar voce a chi la ama, guardando sempre al futuro, forti di un illustre passato.

Eccoci arrivati al decimo numero di CORTINA.TOPic.
Una bella strada, quella che abbiamo percorso assieme. Con
un obiettivo interessante, quello di dar vita — cinque stagioni
or sono — a una rivista dalla doppia vocazione: di approfondimento
e promozione, capace di immortalare la Cortina che
ci piace e di dar voce a chi la ama, guardando sempre al futuro, forti di un
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Recuperare<br />

l’etica del bello<br />

Il sogno è il luogo metafisico dell’immaginazione. Un progetto<br />

innovativo è cieco se non è sostenuto dalla forza generativa<br />

dell’immaginazione e quest’ultima, a ben vedere, si alimenta<br />

proprio dallo sbandamento irrazionale e a volte irriverente del<br />

sognare. Le scienze cognitive ci spiegheranno sempre meglio le basi<br />

biologiche del nostro comportamento e forse arriveranno anche a<br />

dirci di che cosa sono fatti i sogni. Ma qui non siamo interessati a<br />

questo, qui ci piace pensare che tutti i nostri progetti e la nostra idea<br />

di futuro abbiano un comune nucleo generativo nel sognare, a occhi<br />

chiusi o aperti.<br />

A cinquant’anni dall’inizio di un nuovo evo, quello in cui i Beatles<br />

ci hanno aiutato a sognare liberi, e nell’anno — questo — in cui<br />

all’Europa è stato attribuito il Nobel per la pace, credo che le parole di<br />

Imagine di John Lennon siano ancora uno dei modi belli di guardare<br />

al nostro futuro:<br />

16<br />

Imagine all the people<br />

Living for today...<br />

You may say I’m a dreamer<br />

But I’m not the only one<br />

I hope someday you’ll join us<br />

And the world will be as one<br />

priMo piano<br />

E il mondo sarà… Può sembrare strano ma è proprio il futuro<br />

il luogo della concretezza, se vero è che il tempo passato è irrimediabilmente<br />

passato e il presente è inafferrabile, travolto com’è dal<br />

tempo che passa su se stesso. Il futuro inoltre è un luogo sociale, dal<br />

momento che è nelle relazioni e con i futuri degli altri che si realizza<br />

l’avvenire. Su questa base, quale sogno accarezzare nell’immaginare<br />

un buon futuro?<br />

Credo che l’idea di bello, dai tempi delle filosofie antiche ad oggi,<br />

sia la materia del sogno più augurabile per tutti noi. Il bello è una<br />

categoria dai moltissimi significati. Bello come forma e razionalità.<br />

Bello come buono, amichevole, relazionale. Bello come puro, sano.<br />

Bello come giusto. Bello come criterio illuminante la responsabilità<br />

con la quale ci accingiamo a inventare lo sviluppo futuro delle nostre<br />

comunità.<br />

Pensando al futuro forse sarebbe più corretto pensare allo sviluppo<br />

sostenibile in termini di sviluppo bello. Per l’importanza di mettere<br />

al centro non la persona ma le sue relazioni. Sviluppo bello per il<br />

paesaggio, anche quello dolomitico. Bello per la capacità di conservare<br />

le trasformazioni e gli usi tradizionali dei suoli, quelli fatti con rispetto<br />

della natura. Bello, infine, anche per chi si occupa di economia,<br />

compreso il turismo, oppure per chi si dedica a cogliere i rapporti tra<br />

cultura e società. Per tutti un’idea di futuro inclusivo, responsabile,<br />

durevole. Un bel sognare, a occhi aperti o chiusi.<br />

Al mattino, tutti loro, tutti noi, sapremo subito dove mettere<br />

le mani.<br />

Michele lanzinger<br />

direttore del MuSe, Museo delle Scienze di trento<br />

Rinascere, puntare in alto,<br />

cercare qualcosa al di là<br />

Guardarsi gli scarponi per dire: «Ce la farò». Scalare<br />

una vetta è il pensiero del limite da superare, l’eterno<br />

io-contro-io che rende le nostre esperienze più mature.<br />

È guardarsi gli scarponi per dire: «Ce la farò». Il<br />

pensiero del limite da superare, l’eterno io-contro-io che rende<br />

le nostre esperienze più mature. È con questo spirito che il Club<br />

alpino italiano ha passeggiato tra le nuvole in questi 150 anni di<br />

storia, vissuti fianco a fianco da una pattuglia di volontari armati<br />

di una passione che non si è mai addormentata e che, nel tempo,<br />

ha dato vita alle 496 sezioni e 308 sottosezioni in tutte le regioni<br />

d’Italia.<br />

23 ottobre 1863: Castello del Valentino, Torino. È qui che nasce<br />

il Cai, sulla scia della storica ascesa del Monviso dell’agosto<br />

precedente. Fin dagli inizi, pratica attiva e cultura sono i principali<br />

fondamenti di una diffusione della conoscenza del territorio<br />

come presa di coscienza d’identità e maturazione civile, che mostra<br />

lo stretto legame tra il Club alpino e l’Italia — appena — unita.<br />

E ancora oggi ci sentiamo pionieri, riscopriamo le culture e i<br />

patrimoni, possiamo unire i puntini delle storie che la neve copre<br />

come una naturale difesa culturale.<br />

Il mio desiderio è che l’humus delle nostre radici venga coltivato<br />

con sempre più attenzione, proteggendo le nostre cime e<br />

le nostre valli da cattivi pensieri e terribili polveri, puntando sui<br />

nostri ragazzi con coraggio, affidandogli il futuro della Montagna.<br />

Centocinquant’anni alle spalle, ma la forza dell’esperienza è inutile<br />

se non corrisponde a un consapevole passaggio del testimone<br />

ai più giovani. Le grandi sfide del futuro non sono altro che l’esame<br />

a cui viene sottoposta l’educazione che abbiamo trasmesso,<br />

la cartina tornasole della nostra vita. Spero che il nostro lavoro<br />

abbia stimolato, incuriosito, appassionato. Spero che ai confini si<br />

contrappongano gli “sconfini”, che questo anno di festeggiamenti,<br />

intitolato non a caso Cai 150 la montagna che unisce, riesca a<br />

diffondere la cultura delle vette, patrimonio e risorsa nazionale.<br />

Infine, spero di richiamare l’attenzione sulle tematiche del territorio<br />

montano, oramai riconosciuto non più come barriera ma<br />

come cerniera d’Europa, determinando in primis una rinascita<br />

di queste zone — i cui benefici si stendano alla collettività — in<br />

termini sia economici sia etici e culturali.<br />

Umberto Martini<br />

Presidente generale del Club alpino italiano

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