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Versione .pdf - Consiglio regionale del Piemonte

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➜<br />

Fed. Sinistra Europea<br />

Eleonora Artesio<br />

30mila non autosufficienti<br />

in lista d’attesa<br />

Mentre i pazienti attendono che le<br />

<strong>del</strong>ibere <strong>del</strong>la riforma sanitaria si trasformino<br />

in servizi accessibili, si chiudono<br />

alcuni servizi ospedalieri e si<br />

congelano le risorse per l’assistenza<br />

socio-sanitaria proprio a quelle persone<br />

che in condizione di cronicità<br />

e di non autosufficienza dovrebbero<br />

beneficiare <strong>del</strong>la lungo-assistenza sia<br />

presso il domicilio sia nelle strutture<br />

residenziali. Dovrebbero perché il diritto<br />

alle cure senza limiti di durata,<br />

accertata la non autosufficienza e<br />

la disabilità grave, è sancito dai livelli<br />

essenziali di assistenza fin dal 2001.<br />

Ma la Giunta Cota, pur affermando<br />

a parole l’esigibilità di questo diritto,<br />

concretamente lo nega. Il tetto<br />

di spesa imposto alle aziende sanitarie<br />

a partire dal 2010 ha avuto tra<br />

le conseguenze più ingiuste quella di<br />

interrompere la continuità assistenziale<br />

ospedale-strutture residenziali<br />

(o cure domiciliari), tant’è che oggi<br />

sono più di 30mila le persone certificate<br />

come non autosufficienti<br />

in lista d’attesa per questi servizi<br />

(13.505 per l’inserimento in struttura<br />

residenziale, 17.046 per le cure<br />

domiciliari). L’annunciata attenzione<br />

alle fasce deboli è nei fatti sconfessata;<br />

i risparmi in sanità non si sono<br />

affatto trasformati in servizio per la<br />

non autosufficienza, anzi proprio i<br />

tagli alla sanità colpiscono le condizioni<br />

di maggiore fragilità <strong>del</strong>le persone<br />

malate. Le riforme non si fanno<br />

a costo zero: l’assessore alla Sanità<br />

vuole convincere che riducendo la<br />

spesa sanitaria si otterranno maggiori<br />

risorse per il sociale e così dicendo<br />

commette due errori: il primo, ignora<br />

che la non autosufficienza è un<br />

problema sanitario cui le Asl devono<br />

concorrere per il 50% dei costi di domiciliarità<br />

o di residenzialità; il secondo<br />

è l’attesa imposta ai malati e il relativo<br />

costo sociale sostenuto da loro<br />

e dalle loro famiglie in sofferenza e<br />

in anticipazione di cure<br />

che dovrebbero essere<br />

erogate dal pubblico.<br />

➜<br />

Insieme per Bresso<br />

Andrea Stara<br />

Lingua dei segni non deve<br />

diventare apartheid<br />

La legge approvata dal <strong>Consiglio</strong><br />

<strong>regionale</strong> per il riconoscimento<br />

<strong>del</strong>la Lingua dei segni ha almeno<br />

rinunciato alla fine, grazie a una serie<br />

di emendamenti, a fare <strong>del</strong>la Lis<br />

il tratto distintivo di una comunità,<br />

precludendo a priori per i disabili<br />

uditivi la possibilità di apprendere e<br />

esprimersi nella lingua di tutti.<br />

È stata però un’occasione mancata,<br />

perché, se l’intento condiviso è<br />

favorire davvero l’inserimento degli<br />

audiolesi, allora bisogna guardare<br />

ai protocolli sanitari esistenti, con<br />

percorsi come lo screening neonatale,<br />

la protesizzazione o l’impianto<br />

cocleare e, soprattutto, l’abilitazione<br />

alla parola attraverso le nuove<br />

tecniche. Un rifiuto netto al riconoscimento<br />

<strong>del</strong>la Lis come “lingua<br />

propria <strong>del</strong>la comunità dei sordi”<br />

viene in primo luogo dal mondo<br />

scientifico e dalle famiglie dei disabili<br />

uditivi.<br />

Bollare le persone sorde come appartenenti<br />

a una minoranza linguistica,<br />

infatti, significa siglarne in<br />

maniera netta l’esclusione, come<br />

ha sottolineato anche la Commissione<br />

Cultura <strong>del</strong>la Camera. E non<br />

si tratta di essere contrari alla Lis,<br />

ma di evitare che si cristallizzi lo<br />

status di sordità come fosse un<br />

dato antropologico.<br />

Oggi la Lingua dei segni è ormai<br />

richiesta solo da una piccola minoranza<br />

organizzata, infatti oltre il<br />

90% dei genitori dei bambini sordi<br />

sono udenti che non conoscono<br />

la Lingua dei segni. L’unico mezzo<br />

di reale integrazione e inclusione<br />

nella vita <strong>del</strong> paese per i bambini<br />

audiolesi è l’apprendimento <strong>del</strong>la<br />

lingua italiana.<br />

Ho scritto anche al presidente<br />

<strong>del</strong>la Giunta Cota proponendo<br />

che l’attuale legge fosse ritirata e<br />

che la Giunta elaborasse un bando<br />

per le azioni a sostegno <strong>del</strong>la<br />

Lis e <strong>del</strong>l’inclusione, soprattutto in<br />

ambito scolastico, degli audiolesi.<br />

Non serve l’insegnamento <strong>del</strong>la Lis<br />

nella scuola primaria, perché ormai<br />

da quasi trent’anni i bambini sordi<br />

in Italia frequentano la “scuola di<br />

tutti”, come previsto dalla Convenzione<br />

Onu, e non hanno bisogno di<br />

interpreti e di scuole speciali, ma di<br />

insegnanti curriculari e di sostegno<br />

formati per usare le moderne tecnologie<br />

visive.<br />

Questo dibattito sulla legge sulla<br />

Lis non deve essere il punto di<br />

arrivo, ma il punto di partenza per<br />

promuovere davvero, senza pregiudizi,<br />

l’acquisizione <strong>del</strong>la competenza<br />

linguistica da parte dei disabili<br />

uditivi, unico mezzo di<br />

reale tutela <strong>del</strong> diritto<br />

di cittadinanza attiva.<br />

➜<br />

Moderati<br />

Michele Dell’Utri<br />

Olimpiadi, non solo sport<br />

Ogni quattro anni le Olimpiadi<br />

riuniscono buona parte degli italiani<br />

intorno alle televisioni, alle<br />

radio o ai siti web che descrivono<br />

le gesta e le fatiche degli sportivi.<br />

Ogni quattro anni ci rendiamo<br />

conto di come la Tregua Olimpica<br />

rappresenti un nobile auspicio<br />

e non una realtà (com’è ovvio),<br />

ma spesso dimentichiamo che<br />

le Olimpiadi sono uno specchio<br />

dei paesi partecipanti, <strong>del</strong>le loro<br />

scelte, <strong>del</strong>le loro priorità non<br />

solo sportive e <strong>del</strong> proprio livello<br />

di crescita.<br />

Il testa a testa tra Stati Uniti e<br />

Cina è più significativo di un vertice<br />

economico: scelte differenti<br />

nell’educazione e negli allenamenti<br />

degli atleti, immagini per<br />

certi versi opposte degli sportivi<br />

si offrono agli occhi <strong>del</strong> mondo.<br />

Gli atleti cinesi determinati, severi,<br />

misteriosi ed emersi quasi<br />

all’improvviso, nella percezione<br />

dei più. Precisi, rigorosi e, soprattutto,<br />

tanti.<br />

Gli atleti statunitensi forti e vigorosi,<br />

amati, celebri, figli <strong>del</strong> Sogno<br />

Americano che, nonostante<br />

tutto, portiamo sempre un po’<br />

con noi. La potenza storica e la<br />

potenza emergente.<br />

Il paese <strong>del</strong>le forza individuale e<br />

quello <strong>del</strong>la forza collettiva. Dietro,<br />

la vecchia Europa: dignitosa,<br />

ma acciaccata.<br />

L’Europa, composta da paesi piccoli<br />

e tra loro divisi (le medaglie<br />

<strong>del</strong>l’Europa unita quante sarebbero,<br />

mi chiedo ogni volta?).<br />

Paesi europei che portano avanti<br />

caparbiamente e fieramente le<br />

proprie eccellenze, che “tengono<br />

duro”, ma spesso non riescono<br />

ad aprire nuovi ambiti e nuove<br />

frontiere. L’Europa che sembra<br />

stare un passo indietro.<br />

Le Olimpiadi sono politica, sociologia,<br />

economia. Guardarle<br />

con attenzione potrebbe aiutarci<br />

a comprendere meglio complicati<br />

meccanismi internazionali,<br />

che nelle sedi <strong>del</strong>la politica<br />

sono oscuri e nello<br />

sport diventano più<br />

s e m p l i c i e l i n e a r i .<br />

➜<br />

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