www.isiciliani.itBeni confiscati/ 1La lotta per strapparealle mafiei simboli del potereDalla villa a Casal diPrincipe all’hotel nelmilanese…di Pietro Orsattiorsattipietro.wordpress.comLe mafie hanno due obiettivi principali:accumulare denaro e beni e attraversoquesti testimoniare il proprio potere.E i beni hanno un valore benmaggiore di quello strettamente economicoperché assumono un caratteresimbolico fondamentale per l’identitàmafiosa. Dovunque vai è sempre così.Che sia la villa di Sandokan a Casal diPrincipe come le terre di Brusca a duepassi da Piana degli Albanesi, che sial’edificio – o l’antico caffé – al centro diRoma come l’albergo nel milanese. Nonsi tratta solo di un investimento patrimonialeo di una attività di riciclo di denarosporco, ma della necessità simbolica disegnare la propria presenza e la propriaforza in un determinato territorio. Chesia quello di origine o quello di conquistae espansione. “Io ci sono e su questo territoriocomando io e faccio quello che mipare”, questo dicono le mafie acquisendoimmobili, beni, attività.Facciamo un esempio. Quello dellestalle dei Fardazza. Così, con questo soprannome,viene chiamata la famiglia diCosa nostra dei Vitale che ha controllatoil mandamento di Partinico in provinciadi Palermo per decenni. Gente, i Fardazza,che hanno avuto un ruolo anche nellestragi del ’92 e un peso fondamentale negliequilibri fra le famiglie del palermitanoe quelle del trapanese.I Vitale, per generazioni, hanno avutol’ossessione delle vacche. Per loro levacche, e le stalle illecite e non, sono segnodi potere in un territorio con anticatradizione agricola. E quando lo Stato hainiziato a colpirli confiscando le stallesono letteralmente impazziti. Non sapendopiù come fare sui propri terreni, vistele confische e gli arresti che avevano toltodi mezzo due terzi degli uomini delclan, hanno iniziato a costruire stalleabusive su terreni di altri, condiscendentio minacciati. Con centinaia di vaccheche si spostavano da una parte all’altradella valle dello Jato. Si è ucciso perquelle vacche. E si è tentato di uccidere,come nel caso di Pino Maniaci, direttoredella locale TeleJato, che dell’individuazionedi queste stalle aveva fatto un puntodi onore.Quando i <strong>giovani</strong> rampolli dei bosscarcerati hanno ceduto trasferendo levacche in altre zone, per intercessioneperfino della famiglia Riina, il loro poteresimbolico è crollato e il mandamento èdiventato terra di conquista.Tocca i patrimoni, confisca beni, attivitàe immobili alla mafia, e la criminalitàorganizzata perderà consenso, potere epeso contrattuale. Questo aveva capitomolto bene Pio La Torre, tornando nellasua Sicilia come segretario regionale delPci dopo un periodo passato in parlamento– memorabile la relazione di minoranzadella Commissione Antimafia del1976 a sua firma – si rese immediatamenteconto che proprio su questo aspettoera necessario colpire la mafia.Togliere i beni ma soprattutto sottrarre isimboli materiali del potere mafioso.La legge Rognoni – La Torre contieneun concetto fondamentale, prettamentepolitico, che la mafia non può accettare.Il riuso – o restituzione – sociale deibeni. Quello che è sottratto la società siriprende. Non la politica, non le cassedello Stato. La società, il territorio, leforze positive che attorno al riuso socialesi coagulano. Questo rende rivoluzionariaquesta legge. Perché non è semplicementerepressiva. Si va oltre alla definizione“antimafia”. La Torre faceva politica.La legge che porta il suo nome è ungrande contributo politico alla società.Colonizzati dalle mafieFacciamo un esempio di cosa possa innescarein un territorio infiltrato – o meglio,colonizzato – dalle mafie. Quellodella Cascina Caccia a San Sebastiano daPo in Piemonte. Assegnata al GruppoAbele e gestita anche in collaborazionecon Acmos e Libera, è stata dedicata allafigura di Bruno Caccia, procuratore a Torinoe ucciso dalla mafia nel 1984. Ilbene era proprietà di Domenico Belfiorecapo della famiglia che uccise il magistrato.Il valore simbolico, se fosse necessarioevidenziarlo, è chiarissimo. Sepoi in questa cascina si fa lavoro, si produconoprodotti agricoli, si fa formazione,innovazione sul piano ambientale, perfinoarte, il gioco è fatto. Economia socialee soldidale. Che è l’unica rispostache uno Stato serio può dare alla culturamafiosa. E la Cascina prospera, lancianuovi progetti, diventa punto di aggregazionee informazione fondamentale in unI <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong>– pag. 16
www.isiciliani.it“Una risorsae un luogodi buon lavoroterritorio come quello del Nord Italia chesta diventando sempre più obiettivo dellemafie non solo per investire e riciclare ildenaro sporco, ma anche per trasferire lapropria presenza e la propria feroce culturadel potere inquinando imprese, istituzionie politica. Quelli della CascinaCaccia sono molto chiari nel definireobiettivi. “Cascina Caccia non appartienepiù a una famiglia mafiosa, ma appartienea noi cittadini, che siamo chiamati responsabilmentea sentirla ‘cosa nostra’”.C’è un libro del 1962 (“Mafia e politica”,di Michele Pantaleone, Einaudi) chemolti politici moderni dovrebbero leggere.E soprattutto ex ministri quali RobertoMaroni e in particolare Angelino Alfano,che hanno partorito il nuovo CodiceAntimafia entrato in vigore nell’ottobrescorso. Cinquanta anni fa Pantaleone individuavaperfettamente i meccanismianche simbolici del potere mafioso e lerelazioni con la politica e le imprese. Manon lo hanno letto quel libro i politici delterzo millennio o se lo hanno fatto lohanno bellamente ignorato. Perché nelnuovo Codice Antimafia, testo affrettato,forzato e imposto dall’ex Guardasigilliprima di divenire segretario del Pdl, vienedato un colpo mortale all’impianto eall’efficacia della legge La Torre.E’ evidente la forzatura fatta dal governoBerlusconi nell’iter di approvazione,visto che ha totalmente ignorato le 66 osservazionicritiche formulate dalla Commissionegiustizia del Parlamento. Risultato?Attraverso una serie di cavilli e imprecisionitecniche o dall’entrata in vigoredel codice si sono congelate buonaparte delle confische in iter. Facendo unesempio, fra tanti, si obbliga l’autoritàgiudiziaria a confiscare i beni entro dueanni e mezzo dall’avvio del procedimento,e nel caso in cui il termine venga superato,cosa che accadrebbe puntualmenteper beni di grande rilevanza visto chesolo una perizia dura in media due anni,Alfano prevede che si debba restituire ilbene al mafioso, impedendone di fattoper sempre la confisca.Inoltre la neonata Agenzia nazionaleper l’amministrazione e la destinazionedei beni sequestrati e confiscati si troverànei prossimi mesi a farsi carico di 11mila casi con un organico di 30 persone esenza risorse economiche. E ancorairrisolto il ruolo delle banche chemettono una serie di vincoli e intralci sianei sequestri che nella gestione operativapost confisca di aziende visto che lamaggior parte dei beni mafiosi (sarà uncaso?) hanno una bella ipoteca sulgroppone.Ridarli ai mafiosi o licenziare?Senza poi parlare di chi lavora inun’azienda che viene sottoposta a sequestro.In pratica si costringe con il nuovocodice i magistrati a una scelta: restituirei beni che non si è riusciti a confiscarenei 30 mesi previsti, oppure mettere in liquidazionele grandi aziende, chiudendolee licenziando gli impiegati. Come direa chi mafioso non è “con la mafia si lavoracon la legalità no”. Ed è proprio suquesto aspetto che la Fillea Cgil ha promossoun appello pubblico e proposteuna serie di modifiche che tutelino i lavoratorianche attraverso ammortizzatorisociali finanziati grazie al riuso e garantiscanosviluppo economico e sociale. Perchéi beni confiscati siano risorsa e luogodi buon lavoro.www.rassegna.itSchedaALCUNI DATISUI BENI CONFISCATISecondo i dati dell’Agenzia nazionaleper i beni sequestrati e confiscati allemafie sono 12.064 gli immobili, i terrenie le aziende sottratte alla criminalità organizzatain Italia. I dati, aggiornati alprimo marzo <strong>2012</strong>, confermano unanetta superiorità dei beni confiscati nelleregioni a tradizionale presenza mafiosa:Sicilia, Campania, Calabria e Puglia dasole ospitano l’80% dei beni. È possibiletrovare beni confiscati in tutte le regionid’Italia, a esclusione di Valle d’Aosta eUmbria. Di sempre maggiore rilevanzaè la presenza di beni confiscati, soprattuttoaziende, in Lombardia, Piemonte,Emilia e Lazio. Sui 3.364 beni chel’Agenzia ha attualmente in gestione, glialtri 8.700 sono stati destinati a finalitàsociali o istituzionali, 2.178 sono gravatida ipoteca bancaria; dunque il 60% deibeni, ad oggi, è inutilizzabile. Singolareè il caso delle aziende: sono circa 1.537con un aumento del 10% rispetto al2010. Tra i settori più inquinati spicca ilterziario, che vanta il triste primato delmaggior numero di aziende confiscate(più del 50%), a seguire il settore edile(27%) e quello agricolo e alimentare(8%). A complicare il quadro c’è il datosulla distribuzione territoriale delleaziende confiscate: più di una su due ècollocata tra Sicilia (37%) e Campania(20%), a seguire la Lombardia (13%),Calabria (9%), Puglia (7,7%) e Lazio(7,6%). Secondo una recente audizioneparlamentare del direttore dell’Agenzia,il prefetto Caruso, circa il 90% delleaziende è destinato al fallimento.L’Agenzia nazionale, però, non è in gradodi fornire il numero dei lavoratori edelle lavoratrici che dopo il fallimento diqueste aziende hanno perso il lavoro.Secondo la Cgil non sarebbero meno di30.000 persone dall’82 ad ora.I <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong>– pag. 17