www.isiciliani.itPeriferie/ KurdistanLa storiadi Malli GulluIl 20 <strong>giugno</strong> era laGiornata mondiale delrifugiato. Malli, unaragazza kurda, era unadonna in fuga, una rifugiata.Ma rifugiata inrealtà non arrivò a esserlomaidi Dino FrisulloQuando i venti uomini, attraversatol'enorme capannone ingombro di merci,entrarono nella sala mortuaria e siallinearono in silenzio intorno allabara, il tempo si fermò per un lunghissimomomento. Con loro, ai quattroangoli d'uno squallido sgabuzzino senzafinestre, quattro agenti della Polariae il direttore dello scalo merci di Fiumicino.Il sonoro ronzio di un moscone attrassealcuni sguardi. Veniva dal sole caldodell'ottobre romano. Dalla vita. Attraversòla stanza e volò subito fuori, comespaventato. Quaranta occhi tornarono afissare il telo grezzo bianco malamenteappuntato sotto un mazzo di fiori mezzostecchiti, su una cassa di legno innaturalmentegrande per il corpo di una giovanedonna.Nessuno fiatava. Qualche mano simosse esitante a sfiorare il legno, i chiodi,la tela. Alcuni occhi si chiusero fortesotto le fronti aggrottate per scacciare unpensiero, un'immagine. L'immagine diquel corpo che doveva essere stato belloe fresco un tempo, e il giorno prima nonera potuto partire perché troppo gonfio eguasto.Dopo due giorni nella stiva di quellanave e altri dieci in chissà quale magazzinoa Crotone, il comandante aveva rifiutatodi caricare la bara. Troppo fortel'odore della morte. Forse avevano dovutocambiarla con una più grande ed ermetica,che potesse contenere ciò che eradiventato il corpo di Malli Gullù.Il moscone rientrò nella stanza con unronzio leggero e si posò piano sulla bara.Si guardò intorno disorientato, fece unmezzo giro su sè stesso, poi volò ancoradritto verso la porta e si scagliò verso ilcielo, tendendo le ali brillanti come unaereo in fase di decollo.“Sollevò quasi di peso il corpo”L'aereo lacerò la ragnatela delle nuvolee protese le ali brillanti in alto, verso ilsole..."Riprenditela, ma falle cambiare vita.E cambia strada pure tu, finchè sei intempo. Lo sappiamo che sei un terrorista,tu e tutti i tuoi parenti laggiù a Sirnak. Cel'hai portata tu nella sede dell'Hadep, tuamoglie, e tu sei responsabile dei suoiguai. La prossima volta non la rivedraitanto facilmente!"L'uomo sentì i muscoli del viso e dellebraccia tendersi dolorosamente nellosforzo di non rispondere, di non colpire.Si chinò e sollevò quasi di peso il corposottile di Malli afflosciato su una sedia.Sentì all'orecchio il suo respiro pesante,quasi un rantolo. I lunghi capelli eranorappresi dallo stesso sangue che macchiavail vestito, il viso era annerito dailividi.Lentamente, un gradino dopo l'altro,riuscì a portarla giù per le scale della casermadi Gebze. Ogni movimento lestrappava un gemito. Il gendarme diguardia al portone li guardò entrambi conodio prima di premere il pulsante.Fuori accorsero le donne, la sollevaronodelicatamente sulle braccia robuste intrecciatea barella, volarono verso lamacchina in attesa. I loro veli bianchi lefluttuavano attorno come un vestito dasposa.“Mi hanno torturata...”"Mi hanno torturata..."Il medico finse di non sentire, si cacciòle mani nelle tasche del camice e si rivolsebruscamente all'uomo in attesa: "Portalavia, ha solo contusioni, guarirà presto".Guardò gli occhi imperiosi dell'ufficialein piedi in fondo alla stanza, poi distolselo sguardo dalla domanda mutadell'uomo."Lo so che vorresti una certificazione,ma non ce n'è bisogno. Tua moglie nonha versamenti interni o fratture, i lividispariscono in fretta. Se dovessimo mettercia scrivere per ogni sciocchezza..."Quando le tavole di lamiera si chiuserocon colpi secchi di chiavarde sopra leloro teste, Malli barcollò e sarebbe cadutase non avesse trovato, nel buio, il bracciodi suo marito. Gli si strinse e le duebambine si strinsero ad entrambi.L'aria era irrespirabile, rappresa dicalore e fetore. "Come in quella cella..."mormorò. "Manca l'aria e la luce, comelà dentro. Ricordi? Mi sento male comeI <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong>– pag. 88
www.isiciliani.it“Navi di legnofradicioe di ferroarruginito...”allora. Ma qui almeno non verrà nessunoa picchiarmi, e ci siete voi...".Scandiva le parole con difficoltà, ansimando.Lui le accarezzò con dolcezza icapelli e la fronte, come faceva semprequando le tornavano quei ricordi."Calma, Malli. Siamo come in prigione,è vero, ma ti attendeva una prigionemolto peggiore. Invece stiamo andandoverso la libertà. Fatti forza, è l'ultima fatica".“Hai acqua e pane per i bambini?”Qualcuno nel buio gli toccò il braccio,poi sentì una voce in kurdo con l'accentodel sud. "Heval, avete cibo e acqua convoi? Siamo chiusi qua dentro in quattrocentoda tre giorni, fermi ad aspettare voialtridalla Turchia. Abbiamo messo incomune tutto, dovreste farlo anche voi.Abbiamo sete. Ci è rimasta solo una tinozzad'acqua sporca e dei pani ammuffitiche non vi consiglio, hanno fatto appostaa lasciarceli vicino alla latrina. Haiacqua e pane per i miei bambini, heval?"Lui si svincolò lentamente dall'abbracciodi Malli, si chinò a rovistare nel grandezaino militare e ne trasse una bottigliae due pani rotondi odorosi di sesamo.L'altro quasi glieli strappò di mano mormorandoun "grazie, heval". Con gli occhiormai abituati all'oscurità, lo viderofarsi largo nel groviglio di corpi fino a ungruppo di donne e bambini addossati allaparete, accasciati sul terriccio misto a letameche copriva il fondo della stiva. Ipani e l'acqua finirono in un attimo.Questa volta tutti, anche i poliziotti, sivolsero a seguire affascinati il volo delmoscone. Poi tornarono a guardare alternativamentela bara e i propri piedi, incerti.Avevano lasciato il centro d'accoglienzacosì in fretta da dimenticare sul tavoloil gran mazzo di fiori gialli e rossi un pòappassiti che il giorno prima avevanocomprati per poche lire da un fioraioamico e s'erano dovuti riportare indietro.Che fare davanti a una bara, senzaneanche un fiore? L'italiano ripensò allaburocrazia aeroportuale che aveva esclusocategoricamente la possibilità diesporre la bara nella chiesetta accantoall'aeroporto, dove avrebbero potuto circondarladi fiori, pensieri e parole conquella serenità che donano le chiese dicampagna anche a chi non crede o credein un altro Iddio."Non si può, il feretro ha già i fogli perl'espatrio, dunque è come se fosse giàall'estero, e la chiesa è territorio nazionale,non può rientrare in Italia neanche perpochi metri, le norme sono chiare..."Così dovevano salutarla fra quellemura scrostate chiuse da una saracinesca,unico arredo un lavandino nella parete difronte. L'italiano strinse i pugni e inghiottìun fiotto di rabbia impotente. Ilpiccolo Mahsun fu il primo a sollevare losguardo. Si schiarì la gola e cominciò aparlare in turco in tono sommesso, poivia via più alto. Tutti pendevano dallesue labbra.“Lo sciopero della fame”"Questo corpo, compagni, è di unadonna del partito Hadep. Ha conosciutola prigione e la tortura per lo scioperodella fame che le donne intrapresero intutte le città tre anni fa, quando fu sequestratoin Kenya il nostro presidente. Èfuggita dalla Turchia con il marito e le figlieperché per quello sciopero dellafame l'attendeva una condanna a lunghianni di carcere. È morta soffocata nellastiva di una nave..."Quelle navi di legno fradicio e di ferroarrugginito... Chi veniva dai villaggi ilmare non l'aveva mai conosciuto, e neaveva paura.Negli incubi di ciascuno di loro, anchedei bambini, soprattutto dei bambini, ritornavail mare e quelle stive fetide, learmi spianate dei poliziotti che li scortavanonella notte fino al porto e poi quelledegli equipaggi mafiosi, le banconotepassano di mano in mano in pacchettisempre più grossi, le onde sempre piùalte nella notte nera, i colpi che sembranospaccare il fasciame, gli ordini secchi,il pianto dei bambini, il puzzo pungentedi orina, l'imbarazzo delle donne per lapromiscuità, il rombo dei motori e delleeliche, e poi d'improvviso il silenzio, lungheattese sballottati in mezzo al mare, enuovi carichi umani e la nave riparte, ivestiti si fanno ruvidi d'untuosa polveresalmastra, le barbe lunghe e la fame, e lecanzoni le storie gli scherzi in dieci lingueper far passare la fame e la paura, mai racconti tornano sempre alla prigione ealla guerra e qualcuno protesta, bastapensiamo al futuro, siamo quasi in Europa,e l'Europa prende forma di scogli appuntitie neri nel mare in tempesta, il timoneimpazzisce e l'equipaggio fugge, lanave fa acqua, torna il terrore della morte,le urla non sovrastano il muggito delmare nella notte nera o nell'alba livida, epoi finalmente una nave, un elicottero,qualcuno in aiuto, e l'incubo finisce matorna ogni volta che chiudi gli occhi, soprattuttoi bambini, che non vogliono piùdormire per non rivedere in sogno ilmare...“I pensieri corsero alle navi”Venti pensieri corsero alle navi che ciascunoaveva conosciuto. Uno dopoI <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong>– pag. 89