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giugno 2012 - I Siciliani giovani

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www.isiciliani.itCampaniaIl triangolodel lavoroPonticelli, Barra e SanGiovanni, i tre verticidi quello che un tempoera il triangolo industrialenapoletanodi Luca RossomandoNapoli MonitorNon passa giorno senza che vengafuori qualche notizia sulla riqualificazioneprossima ventura. Il porto, l’università,il palazzetto dello sport, certigiorni addirittura si parla del nuovostadio. A chi ci vive resta una vita quotidianada periferia sempre più lontanadal centro e, in quelli che la coltivano,la memoria di ciò che si è stati.In quegli anni, le origini contadine, iconfini degli antichi casali, si fondonorapidamente in un’unica identità industriale,un vissuto che accomuna migliaiadi persone, un’epopea di lavoro duro econflitti sociali ma anche di ottimismo,di occupazione diffusa, di relativo benessere.«Qui c’erano due cose che facevanoscuola – racconta Antonio Silvestri, operaioin pensione –, il partito comunista ela chiesa. E poi le strutture orizzontalidel sindacato».Silvestri, una vita alla Ignis di via Argine,descrive così quell’atmosfera: «Lagente era aperta, disponibile. Si anteponeval’impegno pubblico alla famiglia. Siveniva presi, coinvolti, si usciva la mattinae non si sapeva a che ora si tornava acasa. Accanto alle grandi industrie c’eranole piccole aziende. Quando si minacciavaun licenziamento o c’era da sostenereun’occupazione, partivamo subito:sciopero, manifestazione… Ai tempi delcolera facemmo lo sciopero alla rovescia.Uscimmo dalle fabbriche e andammolungo via Argine a pulire i lagni che eranodiventati delle fogne a cielo aperto».In quegli anni la Ignis diventa un puntodi riferimento, forse perché fabbrica di<strong>giovani</strong>, portatori di valori nuovi. «Arrivammoanche a millequattrocento addetti.A mensa c’erano ancora i tavoli separatiper operai e impiegati, ma nel ’69venne sancito l’inquadramento professionaleunico, un fatto rivoluzionario. Io cheero quinto livello operaio dovevo esserecapace di leggere un disegno, di portareavanti un sistema di macchine…».Alla Ignis, ma anche altrove, si mettein discussione l’organizzazione del lavoro.«La catena di montaggio non ti permettevadi migliorare. Entravi cretino edopo trent’anni cretino eri, non avevi imparatoniente. Ci battemmo per farci assegnaremansioni meno ripetitive. Peresempio, alle presse invece di premeresemplicemente un bottone, se cominciavia montare lo stampo, poi imparavi a regolarlo.E alla fine ci siamo riusciti. Abbiamocambiato il mondo, abbiamo cambiatole fabbriche… Quando siamopartiti, il novanta per cento degli operaiavevano il terzo livello, alla fine quasi lametà erano diventati specializzati».Anche Luciano Guarino, classe ’49, halavorato alla Ignis di via Argine per piùdi quarant’anni. Famiglia del centro storico,padre ferroviere e madre impiegataalla Manifattura Tabacchi, da ragazzo,ogni estate, faceva l’apprendista in bottegapresso un orefice di piazza Carlo III.Le battaglie sindacali del '69Poi il trasferimento in una casa Iacp aCavalleggeri d’Aosta, e un vicino impiegatoalla Ignis che gli confida il modo sicuroper farsi assumere: bisogna andaredirettamente a Varese, anzi a Comerio,alla sede centrale dell’azienda; ci si mettedavanti ai cancelli e si intercettano idirigenti che passano, magari con un po’di fortuna il capo del personale: il posto èassicurato. In quegli anni il mercato deglielettrodomestici è in piena espansione.Luciano ottiene il suo obiettivo appenain tempo per veder nascere le battagliesindacali del ’69. «La Ignis è stata unadelle prime fabbriche con la commissioneinterna. C’era un’organizzazione sindacaledi stampo maoista, attiva e numerosa.I neoassunti come me però nonscioperavano, altrimenti rischiavamo illicenziamento immediato».Nello stabilimento di Napoli si fannotutti i pezzi della lavatrice – motori, contrappesi,cablaggi – e poi si assemblano.I <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong>– pag. 74

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