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Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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nell’intossicare e infiltrare movimenti di sinistra, provocandoli a compiere sotto “bandiere di<br />

sinistra” quella progressione di atti terroristici di cui abbiamo letto schema e scopi nel manuale di<br />

Guérin Serac. Chi aveva vent’anni in quell’epoca e si batteva, invece, al fianco dei “dannati della<br />

terra” ripeteva spesso il malinconico motto di Frantz Fanon, ben altro scrittore francese, che<br />

ammoniva: guai a dire che quell’età fosse la migliore della vita. Opinabile valutazione, soprattutto<br />

allora che la gioventù di Europa stava vivendo uno dei periodi più effervescenti e insieme torbidi<br />

della storia: grandi movimenti di lotta e spinte eversive, contrapposti gli uni alle altre, ma a volte<br />

mischiati in uno stesso calderone, di cui non si conoscevano i cuochi-stregoni, che applicavano - per<br />

l’appunto - le ricette del manuale sulle missioni speciali di Guillou-Guérin Serac.<br />

Quel manuale a quei tempi noi non l’avevamo letto. C’era chi in Italia, invece, l’aveva studiato,<br />

ricopiato pari pari, e pubblicato. Uno di essi si chiamava Clemente Graziani, ed era il fondatore del<br />

movimento neonazista Ordine Nuovo di cui troverete ampie tracce in questo libro. Graziani aveva<br />

scritto: “Terrorismo indiscriminato implica ovviamente la possibilità di uccidere o far uccidere<br />

vecchi donne bambini. (…) Queste forme di intimidazione terroristica sono oggi non solo ritenute<br />

valide ma, a volte, assolutamente necessarie”. A volte. Una di quelle volte accadde un grigio<br />

venerdì invernale, il 12 dicembre 1969 nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura.<br />

Diciassette morti, un’ottantina di feriti.<br />

L’autore di questo libro, <strong>Paolo</strong> <strong>Cucchiarelli</strong>, è uno dei giornalisti italiani che più approfonditamente<br />

hanno studiato i colossali incartamenti giudiziari e di polizia accumulatisi su quella fase molto<br />

nebulosa e molto tragica della nostra storia. Il titolo di un suo precedente volume, dedicato<br />

anch’esso all’eccidio di piazza Fontana, ha una splendida connotazione generazionale: quella<br />

avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969, così è scritto in copertina, è “la strage dai capelli bianchi”.<br />

Ci sono stati undici - undici! - processi. La nostra definitiva canizie coincide tristemente con quella<br />

che - dal punto di vista giudiziario - è una specie di pietra tombale della verità sulla strage. Come<br />

leggerete, i componenti del gruppo di “Ordine nuovo”, ultimamente accusati e condannati in primo<br />

grado per avere collocato e fatto brillare la bomba, sono stati assolti in via definitiva dalla Corte di<br />

Cassazione.<br />

Eppure i giudici, divisi su quasi tutto, concordano nell’indicare ancora quella matrice, fascista<br />

dell’eccidio. E hanno svelato un lunghissimo elenco di deviazioni, depistaggi, imbrogli, bugie e<br />

silenzi da parte degli apparati e dei responsabili governativi dell’epoca e di quelle successive.<br />

Nella sua maniera tipica di smorzare anche l’apocalisse, Giulio Andreotti, ha detto di ricordare su<br />

Piazza Fontana “soltanto grane”. Insomma, una fortissima seccatura. Tra le cose che il senatore a<br />

vita non ricorda e di cui invece potrebbe menare vanto, c’è una sua meritevole rivelazione sulla<br />

qualità di agente segreto di un certo Guido Giannettini, un giornalista neofascista, che tra l’altro<br />

aveva scritto in quegli anni concetti molto simili a quelli di Guérin Serac, distinguendo tra le<br />

“bombe fatte esplodere in uffici o locali pubblici nella strada negli assembramenti o nell’abbattere a<br />

caso gente a colpi di armi da fuoco” e il terrorismo selettivo che (...) alimenta sempre più la<br />

tensione creando un fenomeno irreversibile che tende alla guerra civile”.<br />

Norberto Bobbio chiamava questo intruglio infernale il criptogoverno. Cioè “l’insieme delle azioni<br />

compiute da forze politiche eversive che agiscono nell’ombra in collegamento con i servizi segreti,<br />

con parte di essi, o per lo meno da questi non ostacolate”. E basterebbe una definizione così lucida e<br />

icastica per spazzare via lo sproloquio negazionista di certi analisti che vorrebbero cancellare<br />

persino la categoria interpretativa di “strategia della tensione”, che fu inaugurata proprio a partire<br />

dalla tragedia di piazza Fontana.<br />

Un’altra citazione è necessaria, dalla prosa apparentemente felpata e molto drammatica, lasciata nel<br />

“carcere del popolo” da Aldo Moro. La strategia della tensione esistette, e come. Moro scrive<br />

precisamente nel suo memoriale di una “cosiddetta strategia della tensione”, e sostiene che essa<br />

“ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei<br />

binari della ‘normalità’ dopo le vicende del ’68 e del cosiddetto autunno caldo (…). Fautori ne<br />

erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona<br />

occasione che si presenti, dalla parte di chi respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico<br />

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