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Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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e Moro, risolto alla fine con la sostituzione del saragattiano Mario Tanassi al posto del moroteo<br />

Luigi Gui (lo stesso che il 22 dicembre, prima che Moro incontri il Presidente della Repubblica al<br />

Quirinale, gli fa avere il rapporto del colonnello Pio Alferano dove si indica con chiarezza la regia<br />

fascista della strage) nel fondamentale dicastero della Difesa (cioè alla guida politica dei servizi<br />

segreti) e la contemporanea “sterilizzazione” dell’indagine sulla pista neofascista, della crisi<br />

politico-istituzionale (e probabilmente militare) del dicembre 1969.<br />

Il tutto si risolve il 23 dicembre del 1969.<br />

Ora tocca a Moro affrontare Saragat. In quell’occasione viene stipulato un vero e proprio accordo<br />

politico che prevede, da parte del Psdi, l’abbandono della pregiudiziale anti-Psi e il proposito di<br />

sciogliere anticipatamente le Camere con connesse eventuali “folli avventure”, mentre Moro<br />

s’impegna a non trasmettere o utilizzare il rapporto Alferano; il che significa accantonare, al di là<br />

della volontà della magistratura, la “pista nera”.<br />

Ma qual era l’obiettivo politico di Saragat? A cosa puntava il Presidente della Repubblica? A<br />

svelarlo, quando Saragat è ancora vivo, è l’ex direttore de La Nazione e notista politico de Il Tempo<br />

Enrico Mattei, un giornalista di destra noto per la sua correttezza e la grande professionalità che<br />

all’epoca aveva più che altro un ruolo importante e riconosciuto di ‘alto consigliere’ dei politici.<br />

“La teoria della ‘strategia della tensione’ non risparmiava il Quirinale – scrive – anzi lo considerava<br />

il centro promotore, con l’accusa che veniva riecheggiata persino da autorevoli giornali inglesi di<br />

seria tradizione. […] Chi fu vicino a Saragat in quei momenti non poté non ammirare la fermezza<br />

con cui fece fronte alla più grave tempesta politica e istituzionale che abbia investito la Repubblica<br />

italiana. Fu in questa congiuntura politica procellosa che una mattina venni chiamato al telefono a<br />

Firenze: il Presidente della Repubblica avrebbe gradito fare colazione con me. L’indomani ero a<br />

tavola con lui nella palazzina Einaudi a Castel Porziano. Eravamo in tre, c’era anche il figlio di<br />

Saragat, Giovanni, giovane diplomatico temporaneamente occupato alla Presidenza della<br />

Repubblica. Dopo il caffè Giovanni tuttavia si alzò, salutò e si ritirò. Mi disse allora il Presidente<br />

che egli considerava con accresciuta angoscia la crisi della Repubblica democratica, a suo parere<br />

avviata alla paralisi funzionale. ‘La generazione della Costituente, la generazione di De Gasperi non<br />

ha eredi – mi disse –. C’è un’ondata di anarchia spesso violenta che assale da ogni lato. Manca una<br />

classe politica che la sappia fronteggiare. Ogni giorno lo Stato è costretto alla capitolazione. In<br />

queste condizioni mi sono più volte chiesto se non sarebbe toccato a me il compito di prendere<br />

qualche iniziativa per la salvezza della Repubblica. Ora vorrei sentire il suo parere. Non dovrei<br />

dimettermi da questa carica subito dopo aver sciolto il Parlamento, e assumere io la guida di una<br />

campagna elettorale di riscossa democratica, del tipo di quella che procurò la grande, decisiva<br />

vittoria del 18 aprile 1948?’ La mia risposta fu molto semplice. Osservai che le deformazioni che la<br />

Repubblica italiana aveva subito non erano piovute dal cielo, erano il frutto della gramigna<br />

partitocratica insinuatasi in tutte le strutture costituzionali. Un appello al popolo non ci avrebbe dato<br />

che un Parlamento simile se non peggiore di quelli degli ultimi anni. Se De Gaulle era riuscito a<br />

‘rifare’ la Repubblica in Francia, consunta dai nostri stessi mali, era stato perché aveva potuto fare<br />

approvare al Paese un progetto di riforma che estirpava le radici della partitocrazia. Ma per<br />

realizzare questo disegno c’era voluto il colpo di Stato di Ajaccio e di Parigi. C’era voluto il<br />

colonnello Massu, c’erano voluti i paracadutisti di Algeri e della Francia metropolitana. ‘Ma lei,<br />

signor Presidente, se la sente di mettersi su questa strada? E dove li trova i colonnelli Massu? E che<br />

cosa succederebbe in Italia se lei annunciasse con un suo proclama la sospensione quadrimestrale<br />

della Costituzione, affidando alle cinque più alte cariche dello Stato una riforma costituzionale<br />

risanatrice, da mettere in votazione con un referendum? Se anche prendesse l’impegno di costituirsi<br />

all’Alta Corte di Giustizia, nel caso che il referendum le fosse contrario, l’operazione sarebbe<br />

possibile?’ Saragat apparve contrariato dal mio discorso, facendomi capire che non avrei dovuto<br />

permettermi di avanzare una simile ipotesi alla sua presenza. ‘Comunque – mi disse – quello che si<br />

è fatto in Francia non sarebbe possibile in Italia. Sono stato ambasciatore a Parigi (oltreché esule) e<br />

conosco bene quel Paese. Ma io avevo desiderato conoscere il suo parere su ben altro disegno,<br />

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