coverstory - Aidp
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strumenti cessione del quinto<br />
Una pratica diffusa da<br />
gestire con attenzione<br />
Molte eccezioni, casi personali molto diversi tra loro<br />
e rischi concreti per le aziende. Ecco perché questa<br />
situazione va affrontata con particolare cautela<br />
di Bernardina Calafiori<br />
{<br />
studiolegale@daverioflorio.com<br />
Socio fondatore<br />
dello Studio<br />
Daverio & Florio<br />
È membro della<br />
Commissione Lavoro<br />
presso l’Ordine dei<br />
Commercialisti ed Esperti<br />
Contabili di Milano<br />
e propone, all’interno<br />
della Commissione,<br />
il piano formativo<br />
e gli eventi formativi<br />
su materie di diritto<br />
del lavoro. Nel giugno<br />
2009 ha tenuto il corso<br />
su “Cessione del quinto<br />
e trattamenti spettanti<br />
al coniuge in caso<br />
di divorzio” presso l’Ordine<br />
dei Dottori Commercialisti<br />
ed Esperti Contabili<br />
di Milano.<br />
È socia dell’AGI,<br />
Associazione<br />
Giuslavoristi Italiani.<br />
Il fenomeno dei prestiti personali ha dimensioni di massa, tanto più in<br />
momenti di crisi come gli attuali. Questi finanziamenti sono spesso alimentati<br />
da uno strumento specifico, noto come “cessione del quinto”,<br />
che per gli uffici del personale e uffici paghe delle aziende implica ricadute<br />
significative dal punto di vista della gestione delle procedure che ne derivano.<br />
Gli istituti di credito e gli intermediari finanziari<br />
autorizzati erogano prestiti personali ai lavoratori<br />
e, a garanzia della restituzione del capitale e degli<br />
interessi, chiedono la cessione di parte della retribuzione<br />
del lavoratore stesso, ottenendo così<br />
che il datore di lavoro paghi la quota ceduta della<br />
retribuzione direttamente al finanziatore.<br />
Questa richiesta da parte del lavoratore è assolutamente<br />
legittima e sancita dalla legge.<br />
Ogni credito infatti può essere ceduto, salvo che<br />
esso non abbia “carattere strettamente personale”<br />
o “il trasferimento […] sia vietato dalla legge” (articolo<br />
1260, primo comma, del Codice civile) e nella<br />
fattispecie la retribuzione rientra nella categoria<br />
dei crediti “non strettamente personali”.<br />
Il caposaldo normativo che regola la cessione<br />
della retribuzione afferma che i lavoratori «possono<br />
contrarre prestiti da estinguersi con cessione di<br />
quote dello stipendio o del salario fino al quinto<br />
dell’ammontare di tali emolumenti valutato al netto<br />
di ritenute e per periodi non superiori a dieci anni»<br />
(articolo 5, primo comma, Dpr n. 180/1950).<br />
Un obbligo dal quale il datore di lavoro non può<br />
esimersi, come stabilisce l’articolo 1264 del Codice<br />
civile. Una volta che la cessione viene notificata<br />
all’azienda, la titolarità della retribuzione si trasferisce<br />
dal lavoratore al finanziatore e il datore<br />
di lavoro si libera dall’obbligazione retributiva nei<br />
confronti del primo, pagando il debito al finanziatore<br />
cessionario. Un eventuale pagamento al lavoratore<br />
cedente, non libererebbe dall’obbligazione il<br />
datore di lavoro e lo esporrebbe al rischio, se non<br />
alla certezza, di dover pagare due volte. Un problema<br />
molto delicato è se il datore di lavoro possa,<br />
all’atto della stipulazione del contratto di lavoro<br />
o successivamente pattuire con il dipendente la<br />
rinuncia di quest’ultimo alla possibilità di cedere<br />
la quota del proprio trattamento retributivo. Un<br />
simile patto non risulta espressamente vietato, ma<br />
si presta a dubbi di legittimità, anche se il tema<br />
non risulta oggetto di precedenti giudiziali.<br />
Inoltre, la pratica solleva una serie di questioni<br />
particolari, spesso difficili da risolvere.<br />
Ad esempio, capita frequentemente che un lavoratore<br />
esposto a tensioni o esigenze finanziarie<br />
pressanti stipuli più di una cessione del credito<br />
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