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CON P A S C OLI SULL' A V E N T I N O
9n un tempo in cui la lettura pubblica di Dante aveva assunto
quasi la solennità d'un rito e sulla cattedra della Sala Dantis, sita in
Via della Stamperia, si alternavano i più noti studiosi e i più celebri
poeti, Giovanni Pascoli commentò il canto di Piccarda.
Ricordo ancora. Nell'aula stipata in attesa del poeta, c'era un
sordo brusio, s'incrociavano i saluti, risatine sommesse approvavano
motti di spirito lanciati da qualche improvvisato intellettuale alle signore
dai larghi cappelli, inguainate in vestiti vaporosi.
D'improvviso, senza che nessuno lo avesse visto entrare, il poeta
incominciò a parlare. Egli era passato fra i presenti come un ascoltatore
qualsiasi ed era salito in cattedra. La sua voce uniforme e un
po' monotona non attrasse oa principio l'attenzione e ci volle del
bello e del buono per ottenere un relativo silenzio.
Tutto faceva prevedere che questa rapida apparizione a Roma
del poeta avrebbe provocato una delusione, anche perchè i suoi primi
due volumi su Dante, Minerva oscura e Sotto il velame, che erano
stati da poco pubblicati, avevano destato discussioni e perfino qualche
aspra polemica.
Ma delusione non vi fu. Le argomentazioni sicure, frutto di studi
profondi sulla Commedia, la sottile analisi del mirabile canto, e la
esaltazione della donna, confinata nel cielo della Luna « per manco
di votO» finirono con lo stabilire fra l'oratore e chi lo ascoltava
una corrente di simpatia tale che man mano divenne commozione.
Tutti ebbero la sensazione di trovarsi di fronte ad un uomo eccezio-
nale, anche se non valente parlatore.
Assistevo alla conferenza con un amico ed ammiratore del Pa-
scoli, un romagnolo dai modi bruschi, che aveva gridato « Silenzio! »
allorchè un ritardatario era entrato, disturbando l'incisivo discorso del
suo Zvani. Sapevo che alla fine della conferenza, io, ancora adole-
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