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Piccola storia, dirà qualcuno. Sarà, ma anche la piccola storia<br />
ha i suoi dirit<strong>ti</strong> e la sua gius<strong>ti</strong>ficazione, che è quella di rischiarare a<br />
trat<strong>ti</strong> l'orditura grigia dell'eterno quo<strong>ti</strong>diano, sulla quale la storia<br />
grande va tessendo la trama delle sue tragedie.<br />
DA RAFFAELLO A RAFFAELLA<br />
DEOCLECIO REDIG DE CAMPOS<br />
li nostro amico De Campos, geniale esploratore del Va<strong>ti</strong>cano, procede alacre.<br />
mente e brillantemente di scoperta in scoperta. Alle molte di cui ci ha dato conto,<br />
piccole e grandi, nel suo recente libro Raffaello e Michelangelo (Roma, Bardi,<br />
1946), un'altra ne ha aggiunta, piccola senza dubbio ma interessan<strong>ti</strong>ssima, di cui<br />
ha voluto riservar la primizia ai romanis<strong>ti</strong> della Strenna. Credo d'interpretare il<br />
sen<strong>ti</strong>mento di ques<strong>ti</strong> ul<strong>ti</strong>mi ringraziandolo del dono. Ma l'amore del diaJetto natìo<br />
m'induce a fare una pos<strong>ti</strong>lla aJla spiegazione ch'egli dà, seguendo il Cesareo e<br />
Domenico Gnoli, del nomignolo « Serapica» affibbiato dai contemporanei al favorito<br />
di Leon X.<br />
Dice il Cesareo che l'avrebbero soprannominato « serapica », cioè « zanzara »,<br />
per ritrarre al vivo la figura piccola e nera dell'uomo, « parvos breviter coneretus<br />
in artus», come ce lo rappresenta l'umanista Guido Postumo in una scena di cac-<br />
cia. Lo Gnoli, che in questa spiegazione sentì qualcosa d'incompleto, suppose che<br />
nel soprannome ci fosse anche un'allusione al ronzio della voce. Ma in romanesco<br />
« serapica» o « sarapica» non vale propriamente « zanzara», che si dice con<br />
icas<strong>ti</strong>co abbaglio « zampana », bensì « cugino», cioè (ricorro. alla definizione del<br />
Cappuccini-Migliori11l) quel!' « insettuccio dei ditteri, simile alla zanzara, però più<br />
minuto e muto, moles<strong>ti</strong>ssimo », il quale, giustappunto pere/tè muto, si chiama ano<br />
che, con un nome che è tutto un poema, « pappa taci ». 1/ suggerimento dello<br />
Gnoli non è dunque da accogliere. E al/ora?<br />
Allol'a guardate il ritratto raffaellesco di Serapica riprodotto) dal De Campos.<br />
Osservate quel volto appun<strong>ti</strong>to, che rivela, insieme con la furberia, la prontezza e<br />
la vivacità del temperamento. E poi aprite il Vocabolario romanesco del Chiappini,<br />
dove alla voce « sarapica», dopo un generico rimando all'insetto, si dà il signi.<br />
ficato metaforico con queste parole: « Donna ardita, risen<strong>ti</strong>ta, li<strong>ti</strong>giosa ». Può darsi<br />
che iJ De Magistris, mingherlino com'era, tenesse della donnetta nel fisico e nel<br />
morale. Ma col nomignolo i cor<strong>ti</strong>giani di Leon X dovevano specialmente alludere<br />
al fas<strong>ti</strong>dio di quel casino che si ficcava dappertutto, indiscreto, petulante, mordace,<br />
magari pun<strong>ti</strong>glioso e accattabrighe.<br />
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Dell'uso del vocabolo nel romanesco dei nostri vecchi ho 1111documento preciso.<br />
Risale a un'anlica domes<strong>ti</strong>ca di cer<strong>ti</strong> miei paren<strong>ti</strong>, Raffaella, che quaJche lettore<br />
ricorderà forse d'aver visto citata nella Strenna del 1944, come un'Ì/tdiscussa auto-<br />
rità in fatto di lingua, a proposito d'una mia illustrazione della parola « sturbala-<br />
luna ». C'era allora tra i padroni e i servitori vissu<strong>ti</strong> a lungo in casa un'incantevole<br />
familiarità, che non escludeva il reciproco rispetto e nulla toglieva alla disciplina.<br />
Forse era un retaggio, addolcito dal Cris<strong>ti</strong>anesimo, dell'an<strong>ti</strong>ca civiltà romana. Me-<br />
nenio Agrippa, Cincinnato e Fabrizio, e forse anche Cicerone e Virgilio, dovevano<br />
avere coi propri schiavi rappor<strong>ti</strong> di questo genere. Fatto sta che Raffaella, venuta<br />
un giorno a farci visita dopo una lunga assenza, nel vedersi venir avan<strong>ti</strong> due<br />
mie sorelline, così rispet<strong>ti</strong>vamente ebbe a definirle con categorica psicologia: « Onta<br />
onta un bajocco de strutto» e « serapica serapica come Giulietta quand' era piccola».<br />
« Onto onto» si dice in romanesco di chi è pacioso, ma anche sicuro del<br />
fatto suo. Quanto a « serapica », che nel linguaggio di Raffaella acquistava forza<br />
dalla bellissima iterazione, l'esempio prova che dei tre agget<strong>ti</strong>vi con cui il Chiap-<br />
pini spiega la parola, il terzo è in cer<strong>ti</strong> casi di troppo. Non lo meriterebbero, per<br />
la loro serena e cordiale accettazione della vita, nè la mia zia a cui Raffaella si<br />
riferiva (quella Giulietta un tempo pronta e non remissiva bambina), nè la mia<br />
sorella a cui l'accomunava nella pittoresca definizione.<br />
PIETRO PAOLO TRmlPEo