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MICHELANOELO PER LE VIE DI ROMA
9mpegnati dalla critica nei puri e intangibili cieli dell'arte o nei
complessi meandri della teorica, talvolta fa piacere di ritrovarci con
Dante uomo di parte e vendicativo, con Beethoven sprezzante, con
Michelangelo aspro e parsimonioso: anche senza dover fare il confronto
tra i momenti quotidiani e anonimi della loro vita e quelli
irraggiungibili della creazione artistica, quest'ultima si tinge d'umanità,
e, alla fine, abjJiamo trovato un pretesto o uno spunto per penetrare
nella loro isolata e talvolta sconsolata grandezza.
Rileggendo le lettere michelangiolesche e tornando a metterle in
rapporto con le opere del « Divino» maestro o scorrendo con maggiore
attenzione le pagine, così vere, della biografia di Ascanio Condivi,
o ancora rimeditando quei « dialoghi» di Francisco De Hollanda
ai quali troppo bruscame~te s'è creduto di togliere valore di
autentica fonte per lo studio dell'artista, si affaccia dalle pagine quel
viso tormentato e singolare, più spesso corrucciato contro voglia o
sarcastico per difesa, e allora ripensiamo a Michelangelo quale dovette
essere, vestito di abiti bruni, un poco frusti, ma di stampo signorile,
d'inverno con quel suo cappello di pelliccia, come l'ha raffigurato
qualche contemporaneo, e più spesso, negli anni tardi, a
cavallo per le vie di Roma con un mantello pesante e gli stivali (che
usava portare sempre « per timor degli umori») in quel suo andirivieni
tra le case di Macel de' Corvi presso il Foro Traiano e l'immensa
fabbrica di San Pietro, il suo ultimo sogno.
Ce lo immaginiamo nella vecchia Roma, tra l'Aracoeli, piazza
Farnese, via Moriserrato, Campo di Fiori, via Giulia, non sempre
asn:atto e sdegnoso di saluti, ma talvolta, seppur raramente, intento
al discorso d'un amico (Ascanio Condivi, Donato Giannotti, Giorgio
Vasari, quando capitava a Roma, Monsignor Polo, il Cardinal di
Santa Croce), quando poi non si trattasse del pellegrinaggio a Monte-
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