Storie e testimonianze dal carcere - Calomelano
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state dette e ridette, penso che conti di più raccontare qualcosa<br />
sulla propria esperienza, vissuta sulla propria pelle. Forse le<br />
proprie sensazioni e le proprie sofferenze si possono ancora usare<br />
come punto di partenza per un discorso più ampio, che non sia<br />
solo tecnico, e che tenga conto dei fattori psicologici, che sono poi<br />
quelli che ci spingono a scegliere un certo tipo di vita anziché un<br />
altro, e poi a seguire un certo percorso invece che un altro anche<br />
durante l’espiazione della propria pena.<br />
Allora da qui parto, <strong>dal</strong>la felicità che provo a sentirmi di nuovo<br />
una persona LIBERA, dopo sei anni e mezzo di galera, pur se con<br />
gli ultimi sei mesi vissuti lavorando all’esterno, con un articolo 21<br />
datomi <strong>dal</strong>la direzione, che per me è stato un riconoscimento<br />
importante del mio impegno in un percorso di cambiamento.<br />
Libera di farmi un documento d’identità; libera di portarmi a casa<br />
da mangiare quello che voglio e non solo “le cose nella lista”;<br />
libera <strong>dal</strong>le perquisizioni delle celle, <strong>dal</strong> vedersi le proprie cose,<br />
dagli abiti alle mutande alle fotografie, toccate, spostate; libera<br />
<strong>dal</strong>le perquisizioni degli astucci degli occhiali da vista ogni sera<br />
quando, rientrando <strong>dal</strong> lavoro per dormire in <strong>carcere</strong>, viene<br />
accuratamente controllato ciò che ci si porta in cella; libera <strong>dal</strong><br />
dover fare la “domandina” anche per respirare; libera <strong>dal</strong> dover<br />
dare ragione a persone che magari sai che non ce l’hanno, solo per<br />
evitare ritorsioni, perché “il coltello <strong>dal</strong>la parte del manico” finché<br />
sei in <strong>carcere</strong> ce l’hanno sempre gli altri, mai tu. Ma felice anche<br />
perché tutto il lavoro, tutta la fatica di questi sei anni e mezzo<br />
sono stati riconosciuti con l’accoglimento della mia richiesta di<br />
affidamento ai servizi sociali.<br />
Il <strong>carcere</strong> è faticoso anche se non si fa nulla, figuriamoci poi se si<br />
tenta di fare un lavoro su se stessi, lavoro che per come sono<br />
strutturate le carceri italiane diviene a volte titanico, perché spesso<br />
ci si sente circondati <strong>dal</strong>la volontà che tutto rimanga com’è, che il<br />
detenuto non scocci più di tanto, che non pretenda di studiare, di<br />
pensare, di progredire, di diventare qualcosa di diverso da ciò che