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Storie e testimonianze dal carcere - Calomelano

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imettere insieme i frammenti.<br />

Al momento dell’arresto mi sono puntato la pistola alla tempia e<br />

ho tirato il grilletto. Il colpo non è partito, ma lo scatto del cane è<br />

risuonato come un gong che ha fatto vibrare fino all’ultima cellula<br />

del mio corpo. Un urlo di molecolare e primordiale di incredulità<br />

per quello che stavo facendo. Ma non sarà mai il suicidio fallito a<br />

turbare i miei sogni. Perché c’è di peggio.<br />

I primi giorni li trascorro in un bizzarro stato d’animo di attesa.<br />

Sono in cella e aspetto. Non so cosa, ma mi sembra che qualcosa<br />

stia per accadere, debba accadere da un momento all’altro. Il<br />

lunedì vengo chiamato <strong>dal</strong>l’educatrice e poi <strong>dal</strong>la psicologa. Parlo<br />

con entrambe per una mezz’ora. Il resto del tempo aspetto.<br />

Aspetto che qualcun altro mi chiami, aspetto non so che cosa.<br />

Ogni tanto l’agente infila la chiave nella serratura e io scatto in<br />

piedi pronto ad andare. Ma lui sta solo controllando che sia ben<br />

chiusa a doppia mandata e mi guarda con aria interrogativa. È un<br />

atteggiamento paranoico comune a tutti gli agenti di tutte le<br />

carceri. Ogni mezz’ora passano di cella in cella a controllare che<br />

siano ben chiuse. Con il tempo imparerò a ignorare questo<br />

insistente sferragliare di chiavi, ma per il momento continuo a<br />

sobbalzare. E aspetto. Aspetto perché non riesco ancora a<br />

rendermi conto che la mia è una condizione definitiva e non<br />

provvisoria, non comprendo che la mia nuove normalità è stare<br />

seduto su quella branda a fissare il muro.<br />

Mi sono capitate troppe cose e troppo traumatiche e se la legge e<br />

io stesso non abbiamo pietà per quello che ho fatto, qualche altra<br />

parte di me cerca di proteggermi, impedendomi di prendere atto<br />

della realtà del mio stato troppo bruscamente. Intanto sto<br />

imparando qualcocosa che non sapevo: il <strong>carcere</strong> non è un luogo<br />

tranquillo e silenzioso. Tutt’altro. È un inferno di urla, richiami,<br />

cancelli che sbattono, serrature che sferragliano, carrelli che

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