Sangue dal cielo - Sardegna Cultura

Ed eccomi a respirare a fatica. Le nuvole oltre le assi
del soffitto commentavano con starnuti e borborigmi.
Era come un parlottare di giganti che si giocavano a
dadi il destino di questo pezzo di terra.
La luce fioca di un fiammifero mi aiutò a vedere il
quadrante della sveglia. Erano le tre. Poi vennero le
quattro e i giganti cominciarono a lottare con schiaffi a
mano piena che facevano tremare la casa dalle fondamenta.
Sentii mia madre scendere verso la cucina. Quando
la raggiunsi stava ravvivando le braci nel caminetto.
– Neanche voi riuscite a dormire? – chiesi.
– E chi vuoi che dorma stanotte, – disse lei senza smettere
di lavorare.
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Ora mia madre tace fissando i bagliori rossastri che si
espandono dal camino con un sussurro orante. È giovane,
Raimonda: il viso spianato, i capelli neri. Ha occupato
uno sgabellino di férula e se ne sta lì ad aspettare
con le palme tese verso il calore. La veglia le striglia
la schiena con brividori improvvisi. Là fuori l’acquazzone
è un’orgia immensa di baccanti con sistri e
nàcchere. Raimonda si è fatta piccolissima: un bòzzolo
scuro e lucidato dalle fiamme come una gemma di
ossidiana.
Io dormo a occhi spalancati seduto come ad aspettare
la colazione. Ho cinque anni. Non parliamo, io e
mia madre, il nostro silenzio fa da contrappunto al fragore
assordante dell’esterno. Ascolto quel silenzio triste
e concentrato.
Mio fratello dorme, il temporale non lo ha svegliato.
Mio padre scende in cucina vestito alla continentale
col panciotto. Ha il soprabito piegato sull’avambraccio.
Tutto è pronto per il viaggio: in carrozza fino a Terra-
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