Sangue dal cielo - Sardegna Cultura
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stanza, ed era morbida e docile al passaggio del mio<br />
corpo.<br />
Buio dappertutto, nel mio sogno, anche sul mio copriletto<br />
tessuto di lana chiara.<br />
Da bambino, prima di chiudere gli occhi, spesso mi<br />
ero chiesto quante pecore era stato necessario tosare<br />
per fare quel copriletto. Mi chiedevo se fosse stato necessario<br />
spogliare due, tre, quattro bestie per il mio calore,<br />
o un gregge intero.<br />
Così sognavo di alzarmi, presagendo le cose senza<br />
vederle; tentando di perforare con gli occhi spalancati<br />
quel nulla perfetto.<br />
Le ombre, più dense dell’oscurità circostante, stavano<br />
dove erano sempre state.<br />
Jaju Gungui in piedi, piccolo e secco come il tronco<br />
di ginepro spellato e allisciato, con i monconi stondati<br />
che servivano per appenderci le zucche seccate; o per<br />
infilarci i colli delle bottiglie a scolare; o per impiccarci<br />
le taschedde e le doppiette.<br />
Bisaju Gungui stava pure lui in piedi, con i capelli<br />
bianchi, lunghi sulle spalle, la barba quadrata <strong>dal</strong> mento<br />
al petto e la cartucciera attorno alla vita. Con quel<br />
viso di pietra sbugnata a scalpello e le labbra immerse<br />
nella rafia biancogiallastra dei baffoni. Che in altezza<br />
non era eccellente nemmeno lui, bisaju, ma aveva superato<br />
cose che neanche un gigante avrebbe affronta-<br />
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to. Ed era sopravvissuto a un fulmine che gli aveva trapassato<br />
il corpo <strong>dal</strong>la rosa dei capelli agli alluci. E questo<br />
fatto, del fulmine intendo, si era risolto con un fumo<br />
denso e acre che gli si era sprigionato dagli abiti e<br />
le punte dei capelli uscrate. Così se capitava che gli dicessero:<br />
– Bantò, unu raju chi ti fálete! – lui si limitava<br />
a rispondere: – Duos chi tinde fálene, ca deo appo già<br />
dau!<br />
Fin da piccolo, fin da quando mi posso ricordare, era<br />
sempre bisaju a parlare per primo. Una questione di<br />
età e di rispetto: lui era nato nel vecchio secolo, nel<br />
Settecento luminoso.<br />
– E tando? – chiedeva parlando senza aprire la bocca.<br />
Io alzavo le spalle: lo facevo da bambino e lo faccio<br />
anche ora che sono un uomo fatto. E allora che? Voleva<br />
dire quell’alzata di spalle: al solito: ho sete, ho fame,<br />
non riesco a dormire: tutto questo voleva dire. – Deo<br />
bene, e bois? – mi limitavo a rispondere e chiedere a<br />
mia volta.<br />
Bisaju sorrideva, aveva solo gli incisivi in bocca. –<br />
Bene bene non minde paret, – mi prendeva in giro con<br />
la vocetta scettica.<br />
Era vero: non è che andasse proprio bene. Stavo lavorando<br />
troppo in quel periodo.<br />
– Lassael’istare! – interveniva jaju Gungui rivolgendosi<br />
al padre. Mio nonno è sempre stato uno duro con<br />
i figli e tenero, troppo tenero, diceva mia madre, con i<br />
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