Sangue dal cielo - Sardegna Cultura
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contro il malanimo e l’invidia e l’avidità e la lussuria<br />
eccetera; ma era altrettanto chiaro, una colomba col<br />
ramoscello d’ulivo nel becco l’aveva dimostrato senza<br />
ombra di dubbio che tutto era finito, proprio in quel<br />
quarantesimo giorno. Perlomeno si era fissato un termine,<br />
insomma.<br />
Comunque, in quel novembre del 1899, che fossimo<br />
arrivati al quarantesimo o quarto giorno de abba, il<br />
<strong>cielo</strong> di Barbagia di smettere di ghettare non ne voleva<br />
sapere.<br />
Per questo le fonti, congestionate, <strong>dal</strong>le alture precipitavano<br />
verso l’altopiano e spurgavano in direzione<br />
dell’abitato, con sifonate di acqua untuosa, di rìcino<br />
limpidissimo, che si ingegnava a rivestire di una patina<br />
lucente i selciati e faceva gorgogliare i tratturi sterrati<br />
di torrenti torbidi e ribollosi.<br />
Nùoro annaspava, ingoiando a stento.<br />
Acqua obliqua di linee maestrali, scendeva da San<br />
Pietro, si incanalava nei viottoli poco meno che selvatici<br />
che portavano al Ponte di Ferro, riducendo, nel tragitto<br />
in discesa, via Majore in una fiumana trasparente.<br />
Acqua che grattava via le sporcizie della lunghissima<br />
siccità appena trascorsa incistate fra i mattoni e le pietre<br />
a vista; acqua che impregnava gli intonaci come secchiate<br />
di tinta sempre più scura: tono su tono; che obbligava<br />
a ingollare, fino al soffocamento, le rare grondaie<br />
metalliche facendole lamentare come bidoni di lamiera<br />
in cui venisse agitata della ghiaia.<br />
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Acqua, e acqua ancora, radente e sghimbescia, che<br />
trasformava i piani pavimentati in aree scivolose e i vicoli<br />
in fluttuanti rivi melmosi.<br />
Acqua, e acqua, e acqua ancora, che colmava la scodella<br />
di Seuna come una madre che versasse il latte del<br />
mattino al figlio: abbondante, fino all’orlo.<br />
Per tutta l’estate boschi e garighe erano stati un’immensa<br />
segheria di cicale in amore, poi c’era stato un ottobre<br />
silenzioso che fischiava di grecale agli oliveti. E<br />
ora, in bocca a un novembre ghignante, il frastuono<br />
della pioggia, come quello dell’intera schiera dei dannati<br />
che battessero i denti in attesa del Giudizio.<br />
E che frastuono! Da non sentirsi. Con i tetti che rispedivano<br />
il tra tra tra negli androni e i cortili che si<br />
colmavano per gli scarichi ingorgati. E laghi artificiali<br />
di buche mai appianate. E puzzo di fumo, di cane morto,<br />
di orbaci intrise. Che la traspirazione aromatica del<br />
suolo aveva cessato di profumare l’aria già <strong>dal</strong> secondo<br />
giorno di pioggia e ora pareva che si ostinasse a facilitare<br />
una putrefazione di bestiamene annegato, di carne<br />
bagnata e verdura mucillaginosa come alga di mare.<br />
La strada verso casa era un vicolo scivoloso di pietre<br />
di fiume lucenti. Un immenso cimitero di tartarughe<br />
dai carapaci che sotto al violaceo delle nubi temporalesche<br />
viravano al rosso cupo. Quasi interiora, come reni<br />
di bue incastrati nella terra battuta.<br />
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