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Sangue dal cielo - Sardegna Cultura

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Ore 8,23<br />

Giovannino Marongiu lo incontrai appena uscito <strong>dal</strong><br />

mio ufficio per recarmi alla sala delle udienze. Mi salutò<br />

allargando quella sua faccia schietta incorniciata<br />

<strong>dal</strong>la barba più nera che avessi mai visto. – Ajò a cumbidarci!<br />

– mi disse. Io dissi che non potevo, anche se<br />

un caffè l’avrei preso volentieri, che avevo dormito<br />

male eccetera eccetera. E lui a dire che invece a lui la<br />

pioggia lo faceva dormire come un neonato, ben cuberrato,<br />

al calduccio, stretto alla sua femina – e non ti<br />

naro àtteru. – E non c’era bisogno di dire altro, che si<br />

era capito tutto benissimo. Gli dissi che avevo i minuti<br />

contati, ma che avevo bisogno di parlargli a proposito<br />

di un suo assistito. Lui disse che sapeva tutto, Franceschina<br />

Pattusi, Filippo Tanchis e tutto il resto. Disse<br />

che era una causa persa. Che a carico del giovane c’erano<br />

prove sostanziali: l’orologio della vittima gli era stato<br />

trovato addosso e poi il Tanchis non sapeva dire dove<br />

si trovasse all’ora dell’omicidio. Che gli conveniva<br />

dichiararsi colpevole e fidare nella clemenza della Corte.<br />

Gli chiesi se non avesse pensato al fatto che era perlomeno<br />

strano che un giovane così esile potesse aver<br />

avuto la meglio a mani nude su un uomo della stazza<br />

del Solinas. Mi confessò di no, che non ci aveva pensato.<br />

E il sorriso sulla sua faccia larga si smorzò un poco.<br />

Parlavamo avanzando celermente nel corridoio che<br />

portava in aula. Cominciai a sentirmi in imbarazzo. Mi<br />

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pareva di essere un ragazzo invidioso del cavallo di un<br />

altro o del suo fucile. Dissi che avremmo potuto finire<br />

il discorso al San Giovanni a pranzo. Disse che andava<br />

bene.<br />

Ore 8,30<br />

Andavo avanti con un peso addosso come se il coperchio<br />

di nubi scure e piovose, che trasudava sui nostri<br />

poveri corpi da cinque giorni, mi fosse caduto sulle<br />

spalle.<br />

In Corte d’Assise si giudicava un pastore accusato di<br />

avere ucciso e occultato il cadavere di un vicino per<br />

una questione di confini.<br />

Ernesto Calvisi, il pubblico ministero, era in forma<br />

smagliante: anche lui, con la pioggia, dormiva benone<br />

evidentemente:<br />

– Signori Giurati, siete stati riuniti da codesto tribunale<br />

per giudicare quest’uomo! Ora noi dimostreremo<br />

che non più oltre quest’orrido fantoccio, che vi guarda<br />

celando un intimo ilare sarcasmo nel suo sguardo afflitto,<br />

può essere considerato degno del consorzio umano!<br />

Sono state esibite prove inconfutabili della sua colpevolezza.<br />

Macabri reperti: resti di apparati dentari, frammenti<br />

ossei, che il dottor Camboni, <strong>dal</strong>l’alto della sua<br />

incontrovertibile esperienza di thanatologo, ha ricondotto<br />

senza dubbio al povero Bachisio Lunas scomparso<br />

tre mesi orsono. Abbiamo inoltre esibito testimoni <strong>dal</strong>-<br />

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