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Sangue dal cielo - Sardegna Cultura

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Franceschina Pattusi rispose con un singulto prolungato.<br />

Un lamento di madre annientata <strong>dal</strong> dolore. –<br />

Questo faceva s’abbocà, – disse dopo una serie di respiri<br />

profondi sfiorando con le dita il pennacchio di un<br />

microscopico tenente colonnello.<br />

– Ma è stato un azzardo, tzia mé… È stato un azzardo<br />

portargli quel coltello in carcere.<br />

Franceschina Pattusi sbarrò gli occhi.<br />

– Io sono stata! – La voce di Clorinda Pattusi mi afferrò<br />

ai lombi. – Io, – ripeté guardando la sorella mentre<br />

ci raggiungeva nella camera.<br />

Quest’ultima le fece segno di non proseguire, ma<br />

Clorinda allargò le braccia. Era talmente bella che mi<br />

faceva male guardarla, così decisi di non voltarmi, non<br />

subito. – Piangeva, mi pregava, mi promise che non se<br />

ne sarebbe fatto accorgere; mi scongiurava… diceva<br />

che sarebbe… morto, – continuò lei correndo ad abbracciare<br />

sua sorella. – Gli facevano qualche cosa in<br />

galera, s’abbocà, – singhiozzò all’improvviso rivolgendomisi<br />

direttamente. – Filippo era come un bambino,<br />

non sapeva mentire. Dovevamo negargli anche l’unica<br />

cosa che era importante per lui? Questo dovevamo fare?<br />

Abbandonarlo?<br />

– Ora basta! – concluse Franceschina interpretando<br />

il mio silenzio come un rimprovero. – A lei resta l’amaro<br />

in bocca, ma l’amaro che c’abbiamo noi, lei non lo<br />

può nemmeno immaginare. Che la colpa, s’abbocà, è<br />

come il fele nella gola.<br />

92<br />

La colpa. Che brutta parola…<br />

Uscii da quella casa col petto che mi doleva. In cerca<br />

d’aria. Ma quale aria! L’esterno mi accolse circondandomi<br />

come una placenta giallastra screziata da un reticolo<br />

di vene rosso cupo. Guardai il colle alla mia destra,<br />

poco distante, a un soffio, un salto appena.<br />

Cominciai a dibattermi per conquistare l’altura. E<br />

frantumai l’ultimo tratto in salita vedendomi scorrere<br />

di fianco la grande caserma dell’arma dei carabinieri.<br />

Tra poco starai meglio, mi dissi, senza rendermi conto<br />

che stavo parlando a voce alta. Cominciando a capire<br />

che una parte di quel dolore al petto non era nient’altro<br />

che panico. Per Clorinda forse, per come era giunta<br />

inaspettata alle mie spalle. O forse perché era apparsa<br />

proprio nel momento preciso in cui mi chiedevo<br />

quale fosse il vero motivo della mia visita, senza preavviso,<br />

a casa sua.<br />

Ora che tutto cominciava a chiarirsi le certezze si affievolivano<br />

e mentre mi addentravo in quella selva<br />

esausta, cerosa e traslucida, anche i pensieri si assopivano.<br />

… Colpa. Che brutta parola. Quanto distante <strong>dal</strong><br />

comprendere ogni sfumatura. La colpa è un’acquaforte,<br />

è un’accozzaglia di linee che stabiliscono segno e<br />

profondità. Proprio come il reticolo regolare d’orti e<br />

vigne che rompevano l’incerto di lecci e olivastri nella<br />

valle sotto di me. Nero su bianco la colpa. E forse è<br />

amara davvero. Tanti ne ho visti di colpevoli, che ora<br />

93

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