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Don Ennio Innocenti - Sindacato Libero Scrittori Italiani

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58 ATTI DEL CONVEGNO<br />

Calvino - con ragionamento eguale a quello dei giuristi laici da<br />

lui studiati a Bruges nel corso di giurisprudenza in cui aveva avuto<br />

come maestro di diritto il celebre umanista Andrea Alciato - dice che<br />

il problema è da risolvere in termini “politici”, vale a dire di legislazione<br />

positiva e non “teologici”. Postosi sul terreno di questa egli<br />

segue gli stessi percorsi seguiti dai giuristi laici (Piacentino, Accursio,<br />

Cino da Pistoia, ecc.) per giungere a sostenere la liceità positiva del<br />

prestito con interesse.<br />

Non intendo qui ripetere le analisi contenute nelle pagine dei<br />

primi cinque tomi de Il pensiero economico italiano, ma non posso non<br />

ricordare, ai fini della spiegazione fornita da Calvino, che i giuristi<br />

laici (i quali non furono succubi, checché abbiano scritto storici anche<br />

blasonati, dei canonisti) avevano chiamato in causa - accettata la lezione<br />

del Corpus juris civilis - la equità per legittimare l’interesse nel contratto<br />

di mutuo. Essi avevano detto, secoli prima di Calvino, essere<br />

equo che il debitore il quale ha fruito della mia moneta a me dia un corrispettivo:<br />

alla utilità del debitore deve corrispondere la equivalente<br />

utilità del creditore. (Principio che ritroveremo ancora nel Settecento<br />

in econonisti, ma anche sacerdoti, quali Antonio Genovesi e<br />

Giambattista Vasco, da me trattati nei due tomi del terzo volume de Il<br />

pensiero economico italiano).<br />

Che dice di nuovo Calvino, teologo ma anche giurista? Non dice<br />

proprio niente, con buona pace dei sociologi weberisti e di André<br />

Biéler i quali raccontano la fandonia della “svolta della storia” operata<br />

dal Riformatore di Ginevra e tutti la “bevono”.<br />

Dice che in fatto di interesse non bisogna giudicare «selon quelque<br />

certaine et particulière sentence de Dieu, mais seulement selon la<br />

régle d’équité». Si che da lui, cone dai precedenti giuristi laici, la questione<br />

della «usura» è trasferita dall’empireo delle virtù esemplari al<br />

mondo umano e terreno delle virtù politiche o civili. Egli ripete e ribadisce<br />

che sono da condannare le pratiche di prestito feneratizio contrarie<br />

alla equità: è questa la sola regola idonea a determinare, meglio<br />

di tutte le dispute del mondo, «quand et jusques où il est licite de prêter<br />

à usure».<br />

Se si tiene conto dei risultati ai quali era pervenuta la consolidata<br />

teoria civilistica, a Calvino ben nota, non possiamo non definire<br />

eccessivi, arbitrari, ma sarebbe meglio dire errati, i giudizi di Biéler<br />

sulla «svolta della storia». Essi sono tali per il fatto, e qui mi ripeto, che

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